Abbiamo raggiunto al telefono il professore di Storia del Medio Oriente all’Università di Harvard, Roger Owen, autore di due grandi classici di riferimento: Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno.

Cosa sta accadendo in Iraq?

Si tratta dell’attacco più importante dopo l’intervento degli Stati uniti nel 2003. È molto preoccupante che venga dal Nord e che l’esercito regolare iracheno si dissolva insieme all’avanzata dell’Isil (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ndr).

Precipita dunque lo scontro tra sciiti e sunniti: l’Iran dispiega le Guardie rivoluzionarie a difesa di Baghdad, Kerbala e Najaf?

La divisione tra sciiti e sunniti non era rilevante ai tempi di Saddam Hussein, ma è stata esasperata con l’invasione Usa, acquisendo un’importanza senza precedenti per gli equilibri del paese. Ma ora il governo sciita di al Maliki incassa una sconfitta dietro l’altra. Era prevedibile che qualcuno riempisse lo spazio politico rimasto vuoto nel nord. Ora è solo necessario capire come contenere l’avanzata jihadista.

Quali sono i legami tra Isil e il terrorismo internazionale di al Qaeda?

Isil e al Qaeda non sono sinonimi: questa confusione fa parte del tentativo di trattare l’Islam come un monolite. I riferimenti all’Islam creano organizzazioni diverse in contesti diversi. Proprio il tipo di organizzazione definisce i vari movimenti. Chi attacca nell’Iraq settentrionale sono guerriglieri esperti che si sono allenati per anni prima di intervenire e vogliono imporre la loro via per uno stato islamico. Ma la cosa più interessante è che in queste ore l’esercito regolare iracheno si sta riorganizzando, dalle immagini che giungono dal Nord dell’Iraq alcuni militari indossano già le uniformi nere dei jihadisti, mentre altri soldati tentano ancora di camuffare il loro passaggio dall’esercito regolare al campo del «nemico».

Quindi l’Isil trova anche il sostegno della popolazione locale?

L’Isil nel Nord dell’Iraq ha una buona reputazione tra la popolazione locale. Il suo tentativo è di circondare le città e bombardarle. Se il governo centrale dovesse dimostrarsi debole non esiterebbero a raggiungere anche il Sud del paese, come stanno facendo avanzando verso Saadiyah e Jalawla.

Cosa dovrebbero fare gli Stati uniti a questo punto in Iraq?

Per gli Stati uniti è un disastro: mandano elicotteri e consiglieri militari ma non possono intervenire, se un solo militare americano venisse catturato in Iraq sarebbe un suicidio politico per la Casa bianca. Questo riflette le divisioni tra Dipartimento di Stato e ministero della Difesa – tra John Kerry e Chack Hagel – sull’atteggiamento da assumere nelle crisi in Medio oriente, scontro che abbiamo già visto in altri paesi della regione.

Anche in Libia un militare, formatosi grazie alla Cia, è vicino alla conquista del potere,verso le elezioni del 25 giugno.

Lo scenario disegna il ritorno dei militari dall’Egitto, alla Libia, dalla Siria fino all’Iraq, nell’ultimo caso per il sostegno che i soldati stanno assicurando ai guerriglieri. A Tripoli qualcuno doveva intervenire, il petrolio non poteva essere lasciato in mano alle milizie. Ma Khalifa Haftar sa bene che una cosa è controllare la Cirenaica, altra è controllare Tripolitania e parlamento. Anche in questo caso, Haftar ha il sostegno dell’esercito, ma non è abbastanza forte da controllare il paese.

E così Abdel Fattah Sisi, nuovo presidente egiziano, potrebbe intervenire in Libia?

Sisi potrebbe intervenire in Libia, anche se in Egitto gli sconsigliano di farlo. Di sicuro ha l’incoraggiamento di Usa e Ue che vogliono che qualcuno faccia qualcosa. Ma Sisi sa che solo un intervento potrebbe superare la totale assenza di controllo del confine tra i due paesi. Dal canto suo, una volta conquistato il potere, Haftar potrebbe usare il petrolio come premio per avviare la riconciliazione nazionale. E poi sulla tenuta di Sisi non scommetterei, non sarà capace di tenere la maggioranza degli egiziani, non credo saprà fronteggiare la crisi economica e negoziare adeguate condizioni per il prestito del Fondo monetario internazionale. Mentre, neppure in Libia Obama vuole intervenire: vorrebbe solo che i terminal petroliferi non fossero circondati da pirati.

Anche per i Fratelli musulmani libici si preparano tempi duri?

Tra i Fratelli musulmani libici ci sono jihadisti: questa è la differenza con i loro omologhi egiziani. La Fratellanza libica è molto più militante, ci sono centinaia di persone ben preparate per condurre attacchi suicidi. Dopo il colpo di stato militare in Egitto, i Fratelli musulmani libici sono disorientati e senza controllo sulle dinamiche di politica interna. È dimostrato anche dalla nomina, voluta dagli islamisti, di Ahmed Maaiteq come premier, subito dopo bocciata dalla Corte suprema.