Come è possibile che, nel secolo in cui viviamo e nella parte del mondo in cui abitiamo, la storia d’Italia continui a costituire un enigma? Non è ormai senza veli in Europa ogni avvenimento pubblico? … possono ancora restare nascosti motivi di atti che riguardano tutti?”. Sono parole che senza difficoltà potremmo immaginare pronunciate oggi, qui e ora, “a casa nostra”. Invece provengono da una distanza storica apparentemente siderale. Fu Cristina Trivulzio di Belgiojoso, madre misconosciuta di questo Paese e story teller del Risorgimento, a scriverle nel suo resoconto sulla rivoluzione milanese del 1848, denunciando la congerie di mistificazioni delle narrazioni ufficiali.

Altro scenario: non il secolo successivo bensì quello ancora dopo, millennio nuovo, eppure ci dibattiamo nella stessa opacità, tra le aree grigie e i grumi incancreniti che nel frattempo si sono avviluppati a questa nostra tela. È il 29 giugno 2009. In una serata in apparenza qualunque dell’estate versiliana, il fuoco sta per infuriare in un luogo celebrato per il suo mare e la frescura. In prossimità della stazione di Viareggio, un treno merci, con a bordo 14 cisterne di GPL, deraglia, determinando la fuoriuscita del gas, devastazione e morte nelle case circostanti: 32 persone sono costrette a mettere brutalmente punto alle loro esistenze.

Poi solo il boato mediatico tanto straniante quanto effimero. E poi più niente, nella cassa di risonanza pubblica, se non il contrappunto una tantum di una vicenda giudiziaria che da 6 anni a questa parte cerca di far sì che l’enigma di cui sopra non sia più tale, di accertare le responsabilità. Ma cosa accade a chi resta, quali territori irriducibili e fuori da qualunque mappa letteraria del dolore si ritrova ad attraversare, cosa accade a Daniela Rombi nel post non vita della perdita della figlia Manuela, spirata a 21 anni dopo 42 giorni di agonia, come giunge a fondare, dallo stillicidio del calvario giudiziario, con altri familiari, l’associazione “Il mondo che vorrei”, argine comune al cancro delle stragi d’Italia? E cosa vuol dire, e come fare adesso cinema civile, in un Paese che forse in modo inversamente proporzionale alla mancata trasparenza di tanta nostra storia, ha conosciuto maestri ed esiti altissimi?

Se lo sono chiesto Massimo Bondielli e Luigi Martella (il loro incontro germinato dalle macerie dell’alluvione di Genova del 2011, da cui Se io fossi acqua, il primo lavoro condiviso) ; imbattutisi in Daniela, in Marco Piagentini – un dopo senza la moglie Stefania e i figli Luca e Lorenzo, di 4 e 2 anni, la pelle prosciugata dal fuoco e dal dolore – in Riccardo, il ferroviere licenziato per aver preso le parti dei familiari delle vittime: tra mille dubbi e travagli, hanno deciso di fermarsi con loro.

Non è forse politico trascorrere insieme ore e ore, chiedendosi se e come è possibile stare accanto, scoprendo ampiezze e limiti dell’empatia umana? E non è forse politico provare a sostenere gli occhi di Marco, che nel corto Ovunque proteggi (primo ponte verso Binario 4, il documentario adesso in preparazione), guardano in macchina, dalla sua pelle altra, il figlio sopravvissuto Leonardo e quanti, come società civile antiopacità, vogliano sostenere questa battaglia assoluta? In viaggio per questa strada ostica e radiante, gli autori saranno alla manifestazione del prossimo 29 giugno a Viareggio.

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