Alla fine la Vigilanza si è mossa….Così, di fronte al dilagare filogovernativo dei telegiornali pubblici, il presidente Barachini ha convocato Salini per una audizione. Meglio tardi che mai.

Perché i numeri dell’alluvione catodica del duo Salvini-Di Maio sono da catastrofe per il pluralismo.

E non solo per colpa dei telegiornali Rai che comunque, secondo l’Osservatorio di Pavia, hanno consegnato a gennaio al vicepremier leghista 71 minuti di parola e 324 minuti di visibilità, un’enormità, visto che Conte è dietro con 48 minuti di parola e 308 di visibilità e che ancora più dietro è Di Maio con 43 e 198 rispettivamente.

I tre in ogni caso realizzano più del doppio di tutti gli altri leader politico-istituzionali messi assieme, compreso il Presidente della Repubblica: solo 27, infatti, i minuti di parlato concessi a Mattarella, 16 quelli a Tajani, 10 quelli a Berlusconi, 8 quelli a Zingaretti, 6 quelli alla Meloni.

[do action=”citazione”]Uno squilibrio che non si era mai visto.[/do]

Ma, appunto, non ci sono solo i tiggì. Oltre ai dati monitorati a Pavia il quadro si fa più fosco se si pensa che, ad esempio, a Porta a Porta Salvini è comparso tre volte in un mese, il 10 e il 31 gennaio e poi ancora l’11 febbraio (Vespa gli fa chiudere il programma prima dello stop sanremese, riportandolo in studio senza fare una piega alla prima puntata post festival).

Salvini è da mesi in testa nelle ore di tv: ancor prima della nascita del governo, a maggio, parla per 40 ore (Geca Italia), a giugno per 31, a luglio, agosto e settembre scende sotto i 25 (comunque un livello molto alto), per risalire nei mesi successivi a trenta ore ed oltre.

Un crescendo che è effetto, più che dei suoi meriti, di quella medesima disponibilità che il giornalismo nostrano aveva mostrato con Renzi, che tra settembre e dicembre del 2017, per esempio, aveva imperversato in video con 150 ore di parlato.

A differenza che con Matteo Renzi, che si prendeva per lui quasi tutto lasciando al governo le briciole, per cui premier e ministri non sfondavano, se non raramente, il muro del 35-40%, adesso la soglia è largamente e da tempo (ben prima delle nomine), oltrepassata nei tg Rai (ad eccezione del Tg3), a La7, ma soprattutto a Sky.

È Salvini, in ogni caso, a farla da padrone più degli altri, come si è visto anche nell’ultimo periodo: domenica 17 febbraio è davanti ad un Giletti straordinariamente imbarazzante, poi da Floris martedì 19 applaudito come una star del cinema, mercoledì 20 ad Agorà su Raitre, il 21 felicemente intervistato dal neonato TgPost per mezz’ora, venerdì 22 su Mattino 5: il tutto prima delle regionali sarde e senza nessun rispetto della par condicio. Poi, chiuse le urne, si concede a Porro per Quarta Repubblica lunedì scorso.

Alla luce di questi numeri, quelli più recenti e quelli di lungo periodo, vanno anche letti i successi leghisti e i dati dei sondaggi che fanno volare la Lega e sprofondare il M5S.

Attenzione però, la tv non è tutto: perché non è che Di Maio e i suoi siano stati meno presenti in video rispetto a Salvini.

Anche il capo dei 5Stelle, per restare alle ultime settimane, non ha mancato un talk, da Porta a Porta a Non è l’Arena, da Quarta Repubblica a L‘Aria che tira a Di Martedì, sostituito quando, non c’era lui, dal gemello Di Battista. Che ha avuto la sua bella fetta di parlato tv tra maggio e dicembre 2018, con una media di oltre 25 ore al mese, meno di Salvini certo, ma senza contare il tempo che si sono presi gli altri del Movimento, in questo più plurale.

Eppure le cose per i pentastellati vanno diversamente: i consensi non crescono proporzionalmente all’esposizione.

Tutt’altro, ma questo è ancora un altro discorso.