Il 1° novembre 1983 Oventik era una piccola comunità indigena tzotzil del Chiapas, la strada per arrivare a San Cristobal de Las Casas era sterrata, le donne non potevano scegliere il loro futuro, lo spagnolo era appannaggio solo di diaconi o catechisti istruiti dalla diocesi.

QUANDO DA OVENTIK qualcuno scendeva in città, così come ogni altro indigeno, non poteva camminare sui marciapiedi e spesso veniva insultato dai meticci che si ergevano a proprietari dello stato. Sempre in quel 1° novembre sei persone, tre indigeni e tre meticci, si stavano preparando a entrare nella selva Lacandona per dar vita, il 17 novembre, al primo accampamento di ciò che il mondo avrebbe scoperto con meravaglia il 1° gennaio del 1994, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln).

35 anni dopo Oventik è sulle mappe geografiche. Ci è entrata certamente nel 1995 quando l’Ezln decise di rispondere alla distruzione dell’Aguascalientes di Guadalupe Tepeyac da parte dell’esercito messicano costruendone cinque nuovi. Dal 2003, con il cambio di nome e funzione dettato da una nuova tappa della rivoluzione zapatista, l’autonomia, è uno dei cinque Caracol, cioè è la sede amministrativa regionale dell’autogoverno della zona Los Altos.

A OVENTIK, come a La Realidad, La Garrucha, Morelia e Roberto Barrios, gli uomini e le donne in resistenza organizzano autonomamente sanità, giustizia, istruzione, commercio e ciò che concerne la vita di tutti i giorni. Le donne e gli uomini delle comunità in resistenza, come oramai ogni indigeno del paese – grazie all’esempio zapatista – camminano a testa alta sui marciapiedi, non chiedono scusa se incontrano lo sguardo di un bianco o di un meticcio. Le donne decidono se e con chi sposarsi, fondano cooperative e assumono ruoli pubblici. E non solo nelle comunità zapatiste.

 

Due abitanti di Oventik (Ap)

 

Il 1° novembre del 2018, proprio nel Caracol di Oventik, è iniziato il festival del cinema Puy ta Cuxlejaltic, organizzato dall’Ezln, alla presenza di Alfonso Cuarón, fresco vincitore del Leone d’Oro a Venezia, per la proiezione di Roma. 35 anni fa sarebbe stato impensabile per gli uomini e le donne di Oventik ospitare Cuaron, il suo staff, e le varie strumentazioni tecniche necessarie per un festival del cinema.

BASTEREBBE, FORSE, QUESTO a raccontare le conquiste sociali e politiche che la rivoluzione zapatista ha generato, andando ben oltre la geografia della propria area d’influenza. Lo zapatismo ha cambiato il lessico politico dei movimenti mondiali, oltre a gettare le basi per la critica alla globalizzazione. Certamente i sei fondatori del primo accampamento avevano pianificato altro, avrebbero voluto una rivoluzione che ricalcasse le gesta cubane o nicaraguensi, la loro formazione era marxista-leninista ma per arrivare all’insurrezione «per l’umanità e contro il neoliberismo» dovettero cambiare traiettoria e linguaggi, prepararsi per dieci anni in clandestinità tra addestramento militare e studio del mondo indigeno.

Tanto che una volta il fu Subcomandante Marcos, che ora cambiando ruolo ha assunto il nome di Galeano – in ricordo di un maestro zapatista ammazzato nel 2014 fuori da La Realidad – con pratiche che hanno ricordato l’oppressione subita per diversi anni dai gruppi paramilitari affiliati al Pri, disse: «La cosa migliore che abbiamo fatto come Ezln è stato ascoltare le comunità nel 1984». Scoprirono che tra i molti idiomi parlati dai discendenti dei Maya non esiste la parola «io» così come che la guerriglia si sarebbe potuta formare e insorgere non per sovvertire il potere ma per costruire «un mondo capace di contenere tutti i mondi». Proprio per questo Marcos nel suo ultimo discorso pubblico prima del cambio di nome sostenne: «È nostra convinzione e nostra pratica che per ribellarsi e lottare non sono necessari né leader né capi né messia né salvatori. Per lottare c’è bisogno solo di un po’ di vergogna, un tanto di dignità e molta organizzazione».

OGGI L’EZLN LAVORA AL SERVIZIO delle oltre 50mila persone che portano avanti l’autonomia nel loro territorio in resistenza. Secondo Raul Zibechi «l’insieme di costruzioni (scuole, cliniche e ospedali, produzione collettiva e cooperativa, banche solidali e molto altro) sta tessendo una società altra all’interno della società capitalista, il che mostra anche un nuovo percorso, che nessun movimento aveva praticato finora, per così tanto tempo e con così tanta forza».

E per non morire di vecchiaia, come altre guerriglie, sta scommettendo sul futuro inserendo dentro all’ala politico militare e dentro a quella civile delle comunità giovani donne e uomini, trasformandosi lentamente, senza perdere direzione e radici, rispondendo alle necessità dei più giovani coinvolgendo tutta l’organizzazione.