Outsider, otto imprese leggendarie per sperare in un calcio migliore
Libri Essere un outsider vuol dire portarsi sulle spalle, anche nel calcio, il peso di una parola che, tradotta dall’inglese, nulla ha di lusinghiero. L’outsider calcistico sono undici giocatori che si […]
Libri Essere un outsider vuol dire portarsi sulle spalle, anche nel calcio, il peso di una parola che, tradotta dall’inglese, nulla ha di lusinghiero. L’outsider calcistico sono undici giocatori che si […]
Essere un outsider vuol dire portarsi sulle spalle, anche nel calcio, il peso di una parola che, tradotta dall’inglese, nulla ha di lusinghiero. L’outsider calcistico sono undici giocatori che si arrabattano sull’erba, prendono gol a catinelle, lottano ogni volta per non retrocedere, sono condannati a sognare e basta una partita oltre i patri confini. Alle loro poco esaltanti imprese le pagine sportive dedicano poche righe, che si allungano se il risultato della tenzone, ovviamente sfavorevole, diventa clamoroso per numero di gol. Ma gli outsider, proprio in quanto tali, sono capaci di riservare, a tifosi e critici, incredibili sorprese; di compiere miracoli che sfidano ogni razionale spiegazione; di farsi beffe di avversari in cima alle classifiche nazionali e internazionali. Restando a casa nostra, basterà citare la recente partita di Coppa Italia Parma – Juventus, 28 gennaio 2015. Gli emiliani erano già in piena tempesta economica e societaria, relegati nella zona disperazione della Serie A; i piemontesi navigavano a gonfie vele sulla rotta del massimo torneo italiano. Chi si mise davanti alla tv da non tifoso, lo fece per contare quanti palloni sarebbero finiti alle spalle del portiere parmigiano Mirante. Le cose andarono in ben altra maniera. La Juventus vinse la partita per uno a zero, con gol di Morata a un minuto dalla fine, dopo che il Parma aveva retto benissimo il confronto e messo qualche brivido a Storari, sostituto di Buffon. Gli outsider calcistici si ritrovano in tutti i campionati del pianeta terra. Diego Mariottini, giornalista e responsabile comunicazione sportiva dell’Università degli Studi di Roma, ne ha raccontati otto, scegliendoli tra le squadre del Vecchio Continente. Lo ha fatto con Outisder, Otto imprese leggendarie per sperare in un calcio migliore (pp. 180, Iacobelli Editore, 14 euro), prefazione di Roberto, ‘Mancho’ Mancini. Amore agonistico, pulizia morale (è sempre davvero così?), lotta dura senza paura, voglia di riscatto sono le basi su cui poggiano, nel trentennio che va dagli anni ’70 del Novecento agli esordi del Duemila, le memorabili imprese di Nottingham Forest, Atalanta, Roma, Lazio, Atletico Bilbao, Torino, Danimarca Campione d’Europa 1992, Bastia. In panchina sedevano allenatori come Emiliano Mondonico, Brian Clough, Helenio Herrera, Koldo Aguirre, Richard Møller-Nielsen: geniali architetti di schemi, tattiche e strategie, capaci di costruire un collettivo dove, salvo qualche individualità, mancavano grandi campioni. Capaci, soprattutto, di trasformare l’evidente differenza di caratura in un secondo avversario da sconfiggere. Il libro di Mariottini fonde cronaca sportiva e avvenimenti politici e sociali, esce dal rettangolo verde per mettere a fuoco un’idea precisa: il calcio di élite e il calcio degli outsider nascono nello stesso Paese, ne rispecchiano le disparità e le incongruenze, ne sono figli convinti o figli ribelli. Ma del titoli di dispari e ribelli, questi si, solo gli outsider possono fregiarsi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento