La prima serata, dedicata a Kinshasa, con Mbongwana Star, di pubblico nero in sala ce n’è pochino: figurarsi se i congolesi, abituati a concerti e a notti in discoteca che iniziano ad orari improbabili, si presentano ad uno spettacolo che comincia puntuale alle otto, ancora con la luce del giorno; e poi Mbongwana Star è più un progetto a uso del pubblico occidentale che un gruppo per cui frema la diaspora di Kinshasa. La terza serata alla ribalta è Lagos con Seun Kuti, e nigeriani a Parigi non ce n’è gran che. Nella serata di mezzo invece, per celebrare Bamako, di maliani nella sala della Grande Halle della Villette ce ne sono eccome, di tutte le età: ragazzi e ragazze, anziani, coppie con bambini piccoli. Accorsi ad ascoltare Bassekou Kouyate con il suo gruppo Ngoni Ba, ma soprattutto – si coglie dal calore con cui viene accolta – Oumou Sangare. I tre concerti fanno parte delle due settimane di musica, danza e teatro di 100% Afriques, un festival che comprende anche Afriques Capitales, grossa esposizione di arte contemporanea africana allestita alla Grande Halle (fino al 21 maggio) e pubblicizzata con grande risalto in città.

Ma nella primavera espositiva parigina l’Africa ha un posto d’onore anche con il focus che le ha riservato Art Paris, con le mostre Picasso Primitif e L’Afrique des routes al Branly, con Le jour qui vient alla galleria d’arte dei magazzini Lafayette – che dedicano all’Africa tutte le loro vetrine – con Trésors de l’Islam en Afrique all’Institut du Monde Arabe, con la personale di Soly Cissé al Musée Dapper, e tra poco con Art/Afrique alla Fondation Vuitton. Se Afriques Capitales presenta del continente l’arte più aggiornata, i tre concerti avrebbero potuto magari sforzarsi di documentare le ultime generazioni africane, quelle dell’hip hop e dell’elettronica da ballo, e viaggiano invece su proposte più scontate e stagionate. Ma Oumou Sangare è una vera icona, e rappresenta davvero Bamako e il Mali.

Comincia Bassekou Kouyate, con il suo ngoni, strumento a corde tradizionale dell’Africa occidentale, affiancato da una cantante, da un ngoni basso e da due percussionisti. Se in un album come Ba Power la musica di Kouyate vuole offrirsi con una modernità spregiudicata, dal vivo invece, fatti salvi gli assoli del leader, spesso piuttosto parossistici, distorti, «rock», ha tutto sommato un carattere neotradizionale piuttosto semplice e anche alquanto meccanico, e l’esibizione si snoda un po’ alla buona, simpatica e senza troppe pretese. Quando sul palco sale Oumou Sangare c’è un salto di livello, nella definizione della musica e nella professionalità dello show. Oumou si impose all’inizio degli anni novanta con una cassetta, Moussoulou («donne»), in cui, con una musica neotradizionale e una vocalità radicate nella cultura del Wassoulou, nel sud del Mali, vivacemente difformi rispetto alla più diffusa musica di matrice mandinga, affrontava da un punto di vista femminile questioni scomode come la poligamia e i matrimoni combinati.

Dopo un prolungato silenzio discografico («Oggi per gli artisti maliani far uscire un album è un calvario: l’ufficio per il diritto d’autore non fa niente per proteggerci dalla pirateria», dice, e poi a Bamako ha un albergo e altri affari ad impegnarla) vira adesso decisamente verso una confezione pop con Mogoya, nuovo album atteso per maggio. Alla Villette si presenta con bassista (una donna), tastierista e batterista bianchi, oltre ad un chitarrista, ad un suonatore di donsongoni (lo strumento della confraternita dei cacciatori), e a due bravissime vocalist-ballerine. Sound compatto, chitarra fra Mali e rock-blues acceso, batteria incisiva ma nitida: una dimensione pop che Oumou, cantante sempre autorevole e di temperamento, fluida nei parlati-cantati, sa gestire con la caratura della star. Una ammiratrice maliana sale più volte sul palco a omaggiarla col dono di banconote. Ad un certo punto la scena è invasa da decine di maliani, e si trasforma in una festosa discoteca. In Mali sono anni di cambiamenti e di traumi, e Oumou dalle tematiche femminili passa a toccare questioni più trasversali. Mogoya è un titolo che si riferisce ai rapporti umani: che vede degradarsi, con il perdersi del senso dell’onore e della parola data. E poi i giovani, tanti che cercando un’altra vita perdono la loro. Oumou li sollecita a restare e a investire nel paese «l’energia che impiegate per morire in mare».