La categoria è quella che è, ma se la galera non si augura a nessuno (o quasi) figuriamoci a un giornalista colpevole di aver scritto un articolo, per quanto schifoso. E nemmeno sarebbe un bello spettacolo vedere dietro le sbarre il direttore di un giornale per non aver controllato quanto scritto da un collega. Questa volta tocca al direttore del settimanale Panorama (Mondadori) che è stato condannato dal tribunale di Milano a otto mesi di reclusione per “omesso controllo”, senza sospensione della pena.

Secondo i giudici Giorgio Mulè dovrebbe andare in prigione per un articolo scritto nel 2010 che avrebbe diffamato il procuratore di Palermo Messineo. Titolo: “Aridatece Caselli”. Articolo scritto non da lui ma da Andrea Marcenaro con la collaborazione di Riccardo Arena (entrambi condannati ad un anno ma con la sospensione della pena). Il giudice di Milano, Caterina Interlandi, ha anche disposto un risarcimento di 20mila euro per il procuratore di Palermo. La sentenza è di primo grado, prima di diventare definitiva dovrà essere vagliata dalla Corte di Appello e della Cassazione.

La vicenda, anche se meno eclatante, ricorda il caso di Alessandro Sallusti, il direttore de il Giornale che in autunno era stato condannato in via definitiva per aver diffamato un altro magistrato (fu poi graziato dal presidente Napolitano). Il caso Mulè, anche se non sembra destinato a diventare eclatante, ovviamente dà fiato al centrodestra che una volta tanto può permettersi di dare lezioni di democrazia. Il problema è la normativa vigente per la diffamazione a mezzo stampa che prevede il carcere. E l’occasione è ghiotta.

A cominciare dal datore di lavoro del condannato, Marina Berlusconi, proprietaria del gruppo Mondadori (è suo zio invece che stipendia Sallusti). “La libertà di stampa – dice la figlia – non può essere chiusa in prigione. La critica, anche la più dura, a patto che non scada nell’insulto o nella menzogna, è il sale del confronto democratico, al quale nessuno può pensare di sottrarsi”. Il cdr del settimanale fa quadrato. “Ancora una volta – dice una nota – alcuni giornalisti pagano con una misura intimidatoria, che potrebbe privarli della libertà, per un reato di opinione visto che viene dato atto che nessuna falsità è contenuta nell’articolo incriminato” (Marcenaro aveva accusato la procura di Palermo di essere politicizzata). Uguale la presa di posizione dell’ordine dei giornalisti della Sicilia: “Il carcere per un giornalista colpevole di avere fatto il proprio lavoro è una vergogna che non è più possibile tollerare”. Riccardo Arena, coautore del pezzo incriminato, si difende così: “Proprio perché ritengo di avere fatto soltanto il mio lavoro mi è difficile comprendere e accettare questa sentenza, anche per la sua severità”.

Solidarieta ai giornalisti anche da parte di alcuni esponenti del Pd. Ernesto Carbone (renziano): “La libertà di informazione è cartina di tornasole dell’agibilità democratica di un paese”. E Vannino Chiti: “Il carcere per la diffamazione a mezzo stampa è un errore che la democrazia non si può più permettere”.