L’oggetto è lo stesso, delineato da una cifra inquietante: 303. Tanti sono i punti base che ha registrato ieri il solito spread, infrangendo di nuovo la soglia anche psicologica dei 300 punti e stavolta non solo per una toccata e fuga ma per tutta la giornata. Però il significato di quel numeretto è diametralmente opposto a seconda di chi lo guarda.

PER L’OPPOSIZIONE IN ITALIA, e stavolta Pd e Forza Italia parlano la stessa lingua, come per le istituzioni europee vuol dire che i mercati reagiscono negativamente a una manovra sbagliata. Per il governo e per la maggioranza è invece il frutto degli interventi a gamba tesa delle istituzioni europee. Dei commissari che mitragliano commenti esplosivi. Della lettera inviata dalla commissione all’Italia per bocciare preventivamente la manovra e, in contrasto con ogni abitudine, resa subito pubblica. Del direttore generale del Fondo salvastati Klaus Regling che proprio ieri, pur non essendogli certo sfuggita la delicatezza della giornata, ha deciso di rilasciare un’intervista a Bloomberg tutt’altro che tranquillizzante: «È preoccupante che gli obiettivi di bilancio siano fuori linea rispetto al quadro fiscale concordato» Soprattutto, Regling lancia un allarme rosso sulla tenuta delle banche italiane, destinate a «risentire quasi immediatamente» del rialzo dei tassi. Il tono è paludato ma la sostanza esplosiva, tanto più che quasi nelle stesse ore Credit Suisse avverte che uno spread oltre i 400 punti «potrebbe non essere sostenibile per le banche italiane».

DI MAIO, DA BERLINO, sbotta: «Questa intervista oggi è singolare. Ogni volta che lo spread non raggiunge i 300 punti qualche commissario spara contro la manovra. Ma se si mettono in contrapposizione il mercato e i diritti dei cittadini per me perde il mercato». Più tardi, dopo gli incontri con i ministri del Lavoro e dell’Economia tedesca, il vicepremier a 5 stelle diventa più affabile, segnala il «rispetto» e la «collaborazione» dei tedeschi, garantisce di non voler uscire dall’euro, che però deve cambiare, si dice certo che alla fine i mercati si tranquillizzeranno.

SALVINI È PIÙ RUGGENTE. Paventa manovre speculative «alla Soros», poi fa anche lui l’ottimista: «O c’è qualcuno che si spaventa a prescindere, magari per continuare a comprare aziende italiane sottocosto, oppure quando leggeranno la manovra saranno tranquilli». A Bruxelles il presidente della Camera Roberto Fico incontra l’un tempo placido e ora ringhioso commissario all’Economia Pierre Moscovici. Alla fine si proclama certo che «si troverà il dialogo».

CHIACCHIERE. LA REAZIONE del mercato è stata davvero meno dura del previsto, come informa a Roma il ministro Paolo Savona, ma tutti nel governo sanno perfettamente che la frattura con Bruxelles non si ricomporrà, che la febbre sui mercati resterà alta, anche se non ancora altissima, e che il passaggio per le forche caudine delle agenzie di rating, a fine mese, è da brivido. Il downgrade sarebbe un guaio enorme, se accompagnato da outlook negativo, cioè dalla previsione di un imminente precipizio nelle sabbie mobili dei titoli junk, il guaio diventerebbe esiziale. Come si spiega allora l’apparente imperturbabilità del governo? Cosa sorregge la convinzione di potercela fare «con il sostegno di 60 milioni di italiani», come dice Salvini, e dunque l’assoluta determinazione nel non arretrare di un solo decimale? Probabilmente la risposta più onesta la offre proprio Paolo Savona: «Sono fiducioso che la Bce preverrà una nuova grave crisi. Penso che Draghi ci penserà, non per l’Italia ma per evitare la crisi in Europa».

E’ L’ARMA su cui conta il governo gialloverde sin dall’inizio della sfida, la convinzione che l’Italia non possa essere messa davvero con le spalle al muro perché il suo crollo trascinerebbe a fondo l’intera Ue. Non è un ragionamento assurdo, ma non lo è nemmeno la contromossa che gode di simpatie crescenti nelle capitali del nord e probabilmente anche a Francoforte: usare tutti i mezzi, incluse le Omt (l’acquisto sul mercato secondario da parte della Bce di titoli di stato a breve termine) , per «proteggere» l’Europa dal contagio ma per il resto lasciar cadere l’Italia. Sulla base di queste convinzioni, almeno per il momento, governo italiano e istituzioni europee sono due treni lanciati l’uno contro l’altro sullo stesso binario.