Il monumento alle porte di Ottana è l’orgoglio di Riccardo Spanu, assessore alla cultura e alle pari opportunità del paese. «Raffigura il boe e il merdule (il bue e l’uomo, ndr) – spiega -, le due maschere simbolo del Carnevale di Ottana». È un’opera imponente. In lontananza si vedono due ciminiere. L’altro simbolo del paese. «Purtroppo quando si parla di Ottana si parla di industria», dice Spanu.

Importante centro economico, amministrativo e religioso del centro Sardegna fino al XVI secolo, Ottana è nota perché sede di un’importante industria chimica. «Quando si è deciso di fare il polo industriale non sembrava una scelta così sbagliata, perché Ottana era considerata un crocevia importante», riflette l’ex sindaco Gian Paolo Marras, che continua: «Ottana però era debole sia dal punto di vista culturale che sociale».

LA POVERTÀ spinge all’emigrazione molti ottanesi. L’intervento pubblico nella valle del Tirso, dove sorge Ottana, è deciso nel 1969. Lo Stato si impegna a realizzare le infrastrutture, mentre la Regione sarda, i servizi sociali, l’Eni e la Montedison si occupano degli impianti industriali e della formazione delle maestranze. Il complesso chimico-manifatturiero entra in funzione nel 1974 per produrre fibre acriliche e poliestere. Vi lavorano persone provenienti da tutta la regione, come spiega Giancarlo Arceri, ottanese di adozione e una vita passata in fabbrica: «Venivamo da tutta la Sardegna perché a livello scolastico nel nuorese non c’era gente specializzata per lavorare nell’industria. La maggior parte erano periti agrari. Non avendo siti industriali a Nuoro si sono rivolti a Sassari e Cagliari dove c’erano scuole professionali. Io venivo dal Sulcis».

Giacomo Mameli è un giornalista sardo che esprime con convinzione le sue idee: «Il fatto più importante della Sardegna del dopoguerra dopo l’eradicazione della malaria è la creazione della base industriale». Ottana è insieme a Sarroch, Macchiareddu, Porto Torres, il cuore dell’industria sarda. Per Mameli «un’economia si regge su agricoltura, servizi, industria. Se manca uno di questi settori l’economia non regge. L’unica industria era quella mineraria, in esaurimento. Non poteva continuare così. L’unica soluzione era l’industria petrolchimica». La fabbrica all’inizio porta benefici. Secondo Franco Saba, ex operaio dell’impianto industriale e sindaco di Ottana, l’industrializzazione «ha tolto il paese da una situazione di disagio». Ma la prosperità è stata breve: dopo pochi anni si parla già di crisi.

operai ottana sit in
Protesta operaia a Ottana

Se lo ricorda bene, Saba: «Il primo sciopero generale credo sia del 1977. Volevano chiudere dei reparti. Hanno bloccato la statale 131. Me lo ricordo anche se ero in prima media. Negli anni Ottanta poi già c’era crisi piena». Conferma Arceri: «Il reparto del filo poliestere, che dava più lavoro, ha chiuso dopo 10 anni di produzione, nel 1984». Da quel momento la situazione peggiora. «Se uno dovesse vedere le aziende che hanno lavorato là non si riesce a venirne a capo dei vari passaggi. Sto riguardando i documenti proprio in questi giorni», afferma il sindaco mostrando una pila di fogli.

Sull’industria ora si fanno considerazioni e bilanci. Bilanci pesanti, ancora oggi. L’ex sindaco Marras, che ha lavorato nella stessa fabbrica di Saba, aggiunge: «Ci ritroviamo a dover fare i conti col passato, con due danni: uno culturale e l’altro ambientale e di immagine. Danno culturale perché non abbiamo saputo investire nella cultura, nel senso di educazione, formazione professionale e cultura d’impresa. Ci siamo fermati all’improvviso. Mentre gli altri hanno maturato e proseguito, noi ci dobbiamo rifare. L’unica carta che abbiamo è la cultura».

«LA CULTURA è sempre tra le priorità, perché senza si muore, si muore davvero», sostiene il sindaco Saba. Malgrado i tagli, da alcuni anni il Comune ha puntato sul Carnevale, una tradizione che a Ottana si ripete da secoli. Nel suo ufficio, circondato da dipinti che raffigurano le maschere, il sindaco ne spiega l’importanza: «Forse è l’unica occasione in cui l’ottanese riesce a festeggiare pienamente. Coinvolge tutti. Chiunque può uscire di casa indossando la maschera. Il Carnevale ha resistito nonostante l’industrializzazione. Spesso la modernità fa sì che le tradizioni si perdano, invece da noi la tradizione non si è perduta, ma si è fortificata».

Di tradizione parla anche Gianluigi Paffi, che gestisce il Museo della maschere tradizionali di Mamoiada, un altro paese del centro Sardegna dove le maschere tradizionali sono protagoniste del Carnevale. Paffi si occupa del museo da 15 anni, e parla con passione: «L’unica salvezza per la nostra cultura è la nostra storia. Qui raccontiamo ciò che siamo, ciò che rappresentiamo, senza dover per forza piacere al visitatore. Solo la cultura può essere un volano per l’economia. È attraverso la cultura che possiamo creare un indotto economico che porta le nostre comunità a sopravvivere. Perché stanno morendo. Mamoiada 15 anni fa aveva una pizzeria al taglio e un B&B. Oggi ha tre musei, enoteche, negozi di artigianato. Si organizzano itinerari archeologici e del gusto».

IL MUSEO ha inoltre stretto un accordo con il Museo Nivola di Orani e l’Acquario di Cala Gonone e offre un percorso turistico. La collaborazione è indispensabile. I comuni di Ottana, Mamoiada e Orotelli hanno aperto un tavolo di concertazione affinché il Carnevale ottenga la tutela dell’Unesco e, come conferma Saba, «per realizzare insieme una campagna pubblicitaria del Carnevale». Mamoiada potrebbe essere un modello per Ottana, anche se oggi sono due paesi antitetici. Quanto l’uno è vivace, tanto l’altro è sonnolente. Negozi, botteghe, gente in strada, rumore, colori e luci a Mamoiada. Poche persone in vie semi deserte, silenzio, negozi quasi nascosti a Ottana.

Franco Saba, sindaco di Ottana
«Qui si nasce e cresce col Carnevale»

FA ECCEZIONE la bottega di un artigiano di sas caratzas, di maschere, protagoniste de su carrasecare, il Carnevale. Si trova nella piazza principale. Le maschere vengono appoggiate a un muretto per far asciugare il colore e davanti all’ingresso c’è segatura ovunque. Qui lavora Antonello, uno dei due aiutanti dell’artigiano. Racconta che «una volta le maschere erano intagliate nel pero selvatico. Ora non si usa più perché cresce lentamente e si preferisce l’ontano. La prima volta che ho provato a fare una maschera ho buttato 2 metri di legno, ma non mi sono scoraggiato». Antonello ha un passato in una delle fabbriche della piana. Come tanti qui. All’interno della bottega passa in rassegna le maschere appese: nere e colorate, con corna lunghe e corte, dai più spiccati tratti animaleschi o meno, tutte diverse l’una dall’altra.

Sono tre le maschere principali: Su Merdule, che raffigura l’uomo. Ha tratti spesso deformi quasi a rispecchiare la fatica del lavoro nei campi. Chi indossa la maschera del Merdule tiene per le redini Su Boe, il bue. Infine Sa Filonzana, che fila la lana come fosse la vita, ne decide la lunghezza e la taglia.

«Qui si nasce e cresce col Carnevale» spiega il sindaco di Ottana. Un Carnevale da difendere e promuovere anche per l’ex sindaco Marras: «L’impegno è stato per il mantenimento e la valorizzazione del Carnevale, che non va modificato e snaturato. Abbiamo scelto un turismo responsabile, non di massa. Il turista deve sapere che vede una cosa autentica. Si tutelano le maschere. Ognuna viene marchiata, fotografata e registrata». Paolo Denti dell’associazione Sa Ilonzana, nata nel 2006 per promuovere il Carnevale, ricorda un convegno del 2013 sulla cultura, in particolare sulla maschera, legata allo sviluppo economico: «È emerso che la cultura è la vera strada per il nuovo sviluppo, è la seconda industrializzazione. Non si può però pretendere che generi la stessa ricchezza che ha portato l’avvento dell’industria. La cultura non genera ricchezza nell’immediato».

TRA LE ATTIVITÀ RECENTI spicca il Museo arti e tradizioni. Il Comune ha ristrutturato una casa riservando alcune sale a maschere e foto del Carnevale. Un breve percorso utile a mostrare passato e presente di Ottana. È uno dei primi passi per la promozione della cultura. La strada è lunga. Fondamentale è la comunità. Lo spiega Mario Sedda, in uno dei tanti bar del paese. Emigrato a Milano e tornato adolescente a Ottana, parla con voce pacata: «Le due associazioni di boes e merdules («Boes e Merdules» e «Sos Merdules Bezzos de Otzana»), che contribuiscono ad animare il Carnevale e a esportare le maschere in Italia e nel mondo nascono grazie ai giovani emigrati tornati a lavorare in fabbrica negli anni Settanta. Sono loro che una volta rientrati hanno riacceso la fiamma della tradizione». Che occorra partire dalla comunità lo dice anche Giuseppe Ontano, originario di Ottana da parte di madre. Vive a Bosa ma è un attento osservatore del paese: «In una piccola località, in una realtà complicata come quella del centro Sardegna, le cose vanno fatte col sostegno della comunità».

A PARTE una compagnia teatrale e alcuni artigiani di maschere, attività imprenditoriali in ambito culturale non ci sono, ma il sindaco Saba è ottimista: «Sei-sette anni fa è stato piantato un seme: abbiamo puntato sul turismo responsabile e sulla tutela della tradizione. Sono scelte che ci pagheranno nel tempo, non a breve». Gli fa eco Denti, dell’associazione Sa Ilonzana: «Chi ci crede fa bene a investire nella cultura, ma dovrà pazientare. I risultati migliori sono i più difficili da raggiungere».

Questo reportage è uno dei lavori finali del corso “Il reportage sociale” tenuto da Giuliano Battiston e Massimo Loche alla Scuola del Sociale di Roma.