Intervista a Otelo de Carvalho di Rossana Rossanda

28 maggio 1976 Lisbona

Dal libro “Le interviste del manifesto 1971-1982” (acquistalo qui)

«Non rischia molto presentandosi alle presidenziali?» chiedevo qualche giorno fa a Otelo Saraiva de Carvalho, nel corso d’una lunga conversazione a Lisbona, non a casa sua e non in pubblico, ma in una specie di territorio intermedio, una casa amica. Vi era arrivato scortato, e scortato ne è ripartito; pochi giorni prima si era presentato, sempre allo stesso modo, al congresso del Gis, seduto in prima fila, con qualcuno accanto ma isolato.

«Che importa? La mia persona non conta», mi ha risposto, per metà come deve dire un rivoluzionario, per metà con una semplicità vera. «Ma non è la sua persona che è in ballo. E’ in ballo quel che resta del «poder popular» e che la sua candidatura rappresenta. E’ giusto che si conti in voti oggi? In queste condizioni? Non rischia di venir fuori meno forte che non sia? » «Sì, questo è il problema. Per questo non ho deciso ancora. Ma un rischio è di avere una piccola affermazione. L’altro rischio è che il «poder popular» sparisca del tutto dalla scena».

Questo l’ordine di inquietudine, il dilemma che Otelo ha sciolto ieri, presentando la sua candidatura. Sarebbe un grosso errore credere che lo ha fatto perché pressato da alcuni gruppi politici, come le Bpr, con i quali è legato da un decennio e di cui sarebbe, ideologicamente, prigioniero: Otelo per quanto riguarda i partiti è un gatto, per le zampe non lo acchiappa nessuno. Né gli interessa che si conti di nuovo l’estrema sinistra (Mes, più partito del proletariato più non so chi altro), nella quale non nutre fiducie molto più grandi che per gli altri tradizionali partiti («I quali – ebbe un giorno a dire alla televisione francese con scarso senso dell’opportunità – mi annoiano e mi danno fastidio»). Si presenta perché in queste presidenziali è scomparso quel che ancora restava del messaggio del Mfa, del radicalismo della stagione dei garofani, della «rivoluzione» portoghese. Ancora se si fosse presentato Costa Gomes, che pure con lui ha ben poco in comune, Otelo non si sarebbe candidato. Ma vedere tutto il movimento delle forze armate rappresentato da Eanes, tutta la situazione normalizzata dal centro – destra militare – mi dice – questo è impossibile. Non risponde alla verità. A correre un’alea forse disperata lo spinge la necessità di dire che la rivoluzione portoghese, nei militari e battuta ma non morta. E’ quella di mandare al «poder popular» un segnale, che altri non ha la forza di mandare.

Mandare un segnale non significa semplicemente fare un’estrema testimonianza: significa porre una pietra su cui ricominciare a costruire. «Non si può continuare a lasciare il movimento di questi anni e che resta, senza dargli una prospettiva, anche se di tempi lunghi». «Quanto ne resta»? «Ne resta. E’ il movimento che alle legislative si è espresso nei gruppi di estrema sinistra, nel Pcp e persino nel Ps. Non può esser liquidato nella candidatura di un militare democratico, ma che con questa spinta non ha nulla a che vedere».

E’ un discorso privato, perché il consiglio della rivoluzione non ammette interviste e tanto meno da chi, come Otelo, ha un «carico pendente»; solo oggi, che è candidato e ha diritto di parlare, credo di poterne riportare sul nostro giornale il sugo. Ed è un discorso serio, niente affatto fanatico, infantile, minoritario, generoso ma un po’ matto, come è l’immagine che di Otelo è stata, anche per sua responsabilità, costruita. Di tutti gli incontri che si possono avere fra i leaders della rivoluzione portoghese, quello con lui è in questo senso il più interessante. Quando uno si ritrova a discorrere privatamente con Melo Antunes, non si sorprende. Melo è come appare anche in pubblico, attento, critico, colto, prudente, con una passione politica profonda ma frenata e minata di incertezze. Ugualmente non c’è differenza fra i discorsi pubblici di Goncalves, e il suo parlare privato, onesto, coerente, versione militare di una ideologia che chiameremo veterocomunista, in cui tutto torna, con la sua limpidezza e i suoi blocchi. Con Otelo no. Tanto il personaggio pubblico è unilaterale e vistoso, tanto nella conversazione si rivela una testa strutturata e non messianica: dei tre grandi della sinistra militare è il solo dotato di un robusto senso dell’ironia, che applica anche a sé stesso. Sicuramente è, dei tre, il più modesto. E non certo per estrazione né per cultura: non ha nessun interesse «teorico», ma una cultura politica vera che viene da una lunga pratica e riflessione. La sua vena populista, per momenti anarchica, è profonda e sedimentata, non una scoperta politica recente da parte di un soldato di mezz’età trascinato nel ballo della storia: per questo ha resistito, più dell’altra sinistra militare alla pressione ideologica che veniva da Cunhal. Questo lo separa da Goncalves – credo la sola persona in Portogallo a parlare di Otelo come del «Signor Saraiva de Carvalho», con distante e non velata insofferenza – e lo porta permanentemente a scelte diverse da Melo Antunes, cui lo lega invece una vecchia amicizia. Anche stavolta Otelo sceglie diversamente. Antunes appoggia Eanes, perché lui, democratico tradizionale e leale, è il solo possibile arroccamento contro una frana di destra. E’, il suo, un ragionare simile a quello di un Amendola o di un Berlinguer, più che proprio dei socialisti. Otelo, che non giudica Eanes diversamente da Melo, giudica diversamente la situazione. Per grave che sia, pensa che nulla è peggio che lasciare il movimento politico e sociale – fabbrica, campi, caserme – senza un punto di riferimento; il Pcp, preoccupato di conservarsi, non glielo dà, glielo darà lui. Per lui – pensa – voteranno coloro che non accettano la normalizzazione avvenuta dopo il 25 novembre. Possono essere molti, anche nell’elettorato comunista; non a caso, il partito comunista ha sparato a fondo e coscienziosamente assai più contro la sua candidatura che contro quella, già realisticamente data per vincente, di Eanes.

Perché pensa, Otelo, che possono votarlo in molti, e se non portarlo alla presidenza, segnare per la sinistra un punto significativo, con cui sia il nuovo presidente sia il partito socialista debbono fare i conti? Perché considera che molte cose sono compromesse, nessuna già perduta. Non ha mutato, sul governo Goncalves, il giudizio che ha dato duramente nell’estate. Non ha creduto nel famoso triumvirato – lui, Goncalves, Costa Gomes – e ritiene per fermo che il solo sbocco possibile sarebbe stato un accordo fra la sinistra non gonsalvista e i «nove». Lo ritiene ancora adesso? «Sì. Non funzionò per responsabilità nei nove, che fecero un lavoro di frazione sulla base d’un documento cattivo, e del Copcon, che non riuscì a produrre una piattaforma che spostasse i nove. Ci lavorammo troppo tardi, sulla base del nostro documento che non era del tutto buono neanche quello; ci mancò poco perché trovassimo una intesa diversa». Come è perché non la trovarono? Qui, come spesso quando si discorre delle vicende portoghesi, sembra prevalere la cronaca: a una certa riunione Melo Antunes non venne e sbagliò; la reazione della sinistra del Copcon fu eccessiva e sbagliò. Sembra una spiegazione esile; ma, a ben rifletterci, quel che Otelo racconta e che del resto è pubblicato ormai nel primi libri di scrupolosa cronologia e storia che la rivoluzione portoghese sta facendo su se stessa, è anche la prova della rapidità e quindi fragilità del formarsi d’un quadro politico, e delle fatali derive cui era sottoposto.

«Io ero bloccato» – dice -. Per questo dopo Goncalves venne una reazione moderata. Neppure gli viene in mente che avrebbe potuto servirsi del potere militare, operazionale, che aveva: la sua battuta «io non sono per gettare il Portogallo in una guerra civile, non sono uomo da golpe», o qualcosa di simile, viene dalla convinzione politica che la rivoluzione non è una pura operazione di stati maggiori dell’esercito. Fu bloccato dal fatto che l’accordo politico per una sinistra che non vedesse il Pcp egemone, ma capace di trascinare il Pcp, non era maturo. Per questo Otelo non giocò carte diverse, quando aveva ancora tutto il Copcon con sé. Preferisce portarsi ora candidato, far politica comunque con le masse, fuori di caserma. Preferisce puntare sul fatto che nelle caserme hanno un bel mandare a casa le reclute che passarono l’estate in assemblea, le nuove che vengono non sono affatto acquisite alla vecchia idea della disciplina, viva solo negli ufficiali. E anche in essi…

Con molta calma, Otelo spiega come il 25 aprile non abbia lasciato nessuno indenne: la sua visione è ben diversa da quella dei gruppi di sinistra, che vedono da una parte una ristretta avanguardia già formatissima, dall’altra tutti fascisti. E’ più scettica sulle espressioni politiche già sedimentate, più ottimista sui processi profondi, più disposta a lavorare sui tempi lunghi. «Non avete perduto molto tempo? » «Sì, molto». E quali sono stati i più grossi errori, oltre al limite del gonsalvismo? Il più grosso errore è, per Otelo, l’aver consentito che il movimento moderato preparasse la sua rivincita e se la prendesse il 25 novembre. Era – spiega – una rivincita preparata fin dal mese di agosto: è la storia d’ una provocazione abilmente costruita e sfruttata. «Io posso dirlo, perché in essa nessuno può coinvolgermi». Nella provocazione caddero in pochi, alcuni dei gruppi che ora lo vogliono candidato e alcuni della sinistra militare, che finirono a Caxias o in altre prigioni, poi agli arresti domiciliari. Otelo alza le mani: «Nessuno potrà usare del 25 novembre contro di me. Io potrò usarne contro la destra».

Ma anche allora, non si poteva impedire, bloccare, dare un’altra direzione alla sinistra? Non ne siamo stati capaci, dice Otelo tranquillamente, era tardi. E prima? Non potevate imporre voi, alla caduta di Goncalves, una linea di arroccamento? Faccio il nome di Fabiao, su cui si era tanto speculato all’estero: Otelo sorride. Mai chiedere a un militare quel che pensa di un collega. E del resto, non è con un governo che si risolvono processi immaturi.

Va ricostruito un rapporto di massa, un terreno su cui le masse si possano ricostruire un loro potere. Otelo non pensa alla politica che in questi termini. Lo divide dal Pcp, paradossalmente, la stessa ragione per cui, lui il militare più potente, non ha mai tentato il colpo militare. Lo lega ai soldati, ai moradores, agli operai questo bisogno, e questo trasmetterà nella sua campagna elettorale. Stavolta quel che conta è soprattutto gareggiare; tornare a far politica. Parlerà in tutto il Portogallo. E la folla correrà.

Chi era Otelo Saraiva de Carvalho (scheda del 1982)

non avrebbe probabilmente bisogno di presentazione. Come qualcuno ha scritto di lui, Otelo sarà ricordato quando tutti gli altri nomi e visi dei capitani del 25 aprile portoghese saranno stati dimenticati. Nato il 31 agosto 1936 a Lourenço Marques (oggi Maputo), nell’antica colonia portoghese del Mozambico, Otelo resterà sempre «lo stratega della Rivoluzione dei garofani», il capitano per eccellenza del «Movimento dei capitani». Subito dopo l’abbattimento della dittatura salazar – caetanista divenne lui il volto della rivoluzione. Comandante del Copcon, la forza militare operativa che controllava Lisbona, uomo di punta del Consiglio della rivoluzione, popolarissimo fra la gente, Otelo fu emarginato dopo il colpo restaurativo del 25 novembre 1975. Fuori dal Consiglio della rivoluzione, fuori dalle forze armate (da generale ritornò maggiore, e con quel grado fu costretto a passare alla riserva). Alle elezioni presidenziali del 1976 si presentò candidato, contrapponendosi a Ramalho Eanes (che lui identifica con l’ondata restauratrice) e a Carlos Brito (candidato del Pcp). Ottenne un 17 per cento, secondo solo a Eanes, che fu eletto. Le cose andarono peggio alle presidenziali successive, dell’80: 1,6 per cento. Ma lui non demorde. E’ fiducioso che la sua linea per una sinistra «unita, radicale e non allineata» sia l’unica, alla lunga, vincente. A 46 anni non si sente in pensione e alle elezioni dell’85 intende ripresentarsi per la terza volta. Dopo avere riempito per anni la prima pagina di tutti i giornali del mondo, oggi lavora in un modesto servizio amministrativo alle dipendenze dello stato maggiore.

Aggiornamento del 2021

Marxista convinto, Otelo alla metà degli anni ’80 darà vita a un’organizzazione per la lotta armata chiamata Forze popolari 25 aprile (Fp25) che farà 15 vittime. Nel 1984 viene arrestato e condannato per banda armata e sovversione dello stato. Sarà scarcerato nel 1989, dopo 4 anni di carcere sui 18 comminati in via definitiva. Nel 1996, su raccomandazione dell’ex presidente Mario Soares, il parlamento portoghese ha approvato un indulto per la sua condanna. E’ morto il 25 luglio 2021 a Lisbona.

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