Probabilmente il titolo più atteso a Londra nel 2017, Otello di Verdi ha nel complesso mantenuto le sue promesse.
Jonas Kaufmann ha finalmente sfatato le incognite del debutto lungamente rimandato, dopo una stagione 2016 che ha alternato i successi a una falcidia di cancellazioni per cause di salute e fatica. E invece anche in Otello Kaufmann riesce a piegare con efficacia il suo originalissimo strumento alle ragioni e al sentimento della pagina musicale, senza bellurie ma con una partecipazione di impatto emozionante (nei finali di terzo e quarto atto, nei duetti con Jago e con Desdemona, nel «Dio mi potevi scagliare»).

Se è inutile intavolare paragoni con le grandi voci drammatiche del passato, non è neanche semplice presentarsi oggi come il più importante tenore della scena contemporanea, anche per via della pressione di un’imponente macchina mediatica.

Nonostante gli attentati e il clima di controlli la Royal Opera House ha fatto leva sulle grandi attese (tutte le recite erano pressoché esaurite) ottenendo eccellenti risultati con l’Otello proposto nelle sale cinematografiche europee il 28 giugno, secondo una linea in cui ormai il teatro inglese è diventato un modello. La regia di Keith Warner era adatta alla telecamera, visto che isolava i cantanti fra lame di luce e due claustrofobiche pareti nere, i bastioni di Cipro trasformata in intercapedine mobile di un’enorme studio cinematografico: la vita reale scorre su una scena che ci è preclusa, per noi e per Otello vale solo il buio della menzogna di Iago, che travolge tutti i protagonisti, mentre fra le mura fitte di feritoie, pensate da Boris Kudlicka, scorrono anche giganti grate vetrate, interpretazione di vago sapore brutalista, delle gelosie orientali.

Uno dei pochi simboli usati dalla regia, insieme all’enorme leone di san Marco, banalmente mostrato in pezzi nell’ultimo atto, ai costumi di libera ispirazione cinquecentesca di Kaspar Glarner, alcuni belli, altri infelici. Inguardabile quanto incongrua la cameretta da mobilificio del finale. La complessiva attenzione alle esigenze drammaturgiche e ai risvolti psicopatologici dei personaggi, si univa al rispetto delle necessità del canto, trovando perfetta corrispondenza con la direzione di Pappano. Un’impostazione basata sul respiro del canto e sulle ragioni della parola, che nel caso del libretto boitiano chiedono cure speciali, ma anche incardinata sull’ineluttabilità della vicenda, scandita da tempi quasi sempre incalzanti, controllo sicurissimo delle dinamiche di orchestra e coro. Molto ben cantata la Desdemona partecipe e realmente giovane di Maria Agresta mentre lo Iago di Marco Vratogna quasi si beava della sua brutale perfidia.

In evidenza il Cassio elegante di Frédéric Antoun e il Lodovico di In Sung Sim. Pochi applausi fra le scene ma trionfo alla fine, con ovazioni per Pappano e il protagonista. Il 10 luglio, ultima recita di Kaufmann, coincide con il compleanno del tenore: si attendono sorprese.