Ota Pavel, la vita presa all’amo sulle rive del lago
Narrativa «Come ho incontrato i pesci», il secondo volume di racconti dello scrittore ceco, uscito postumo nel 1974, per Keller
Narrativa «Come ho incontrato i pesci», il secondo volume di racconti dello scrittore ceco, uscito postumo nel 1974, per Keller
Ota Pavel cominciò a scrivere opere narrative dopo che gli era stata diagnosticata la ciclofrenia, in un ospedale psichiatrico dove la penna gli era offerta come rimedio terapeutico. Celebrato giornalista sportivo, proprio nel corso di un viaggio di lavoro a Innsbruck, aveva dato segni di squilibrio, dichiarando di aver visto Martin Bormann nella folla, e dando poi fuoco a un fienile.
La scrittura per l’autore, divenne un mezzo di salvezza, nella visione di «tornare fanciullo, al sicuro con suo padre al fianco» lontano dalla responsabilità dell’età adulta. Al genitore, impavido venditore di aspirapolvere porta a porta e fanatico pescatore, è dedicato La morte dei caprioli belli, uscito nel 1971 e subito diventato un bestseller della letteratura ceca. Quel libro, con una bella postfazione di Marius Szczygieł dal titolo efficace: Di come la vita possa essere vissuta come una festa, era uscito da Keller nel 2013. Ora la casa editrice di Rovereto pubblica opportunamente il secondo volume di racconti, Come ho incontrato i pesci (nella vivace traduzione di Barbara Zane, pp. 263, euro 16,50), uscito postumo nel 1974.
L’autobiografia e la Storia si intrecciano nel segno della pesca, ossessione di una esistenza vissuta il più possibile a contatto con la natura, centrale per tutta una parte della cultura ceca novecentesca, a partire dall’incantevole L’anno del giardiniere di Karel Capek, raccolta di un esilarante feuilleton giornalistico-botanico, pubblicato da Sellerio nel 2008. Al centro di queste pagine, c’è la città-rifugio dell’infanzia, Bušterad, altrettanto presente e ossessiva della Drohobyc di Bruno Schulz. Qui però il tono è leggero e le vicende sono quelle di una esistenza scandita da una mania piscatoria che porta il narratore alle avventure più bizzarre.
Sullo sfondo sta sempre il padre, Leo Popper, che come unico lusso della sua esistenza, acquistò un laghetto cittadino per le carpe, malgrado sua moglie dicesse che sarebbe stato assai meglio andare in Italia per fare il bagno nel caldo Mediterraneo. Fin dalla più tenera infanzia la visione è quella di un’esperienza che si vive in solitudine, che non si può condividere con gli amici, a cui anzi vanno tenuti nascosti i segreti sui luoghi migliori, sulle tecniche più efficaci. Mentre si svolgono infinite partite di pesca, scorre la Storia: nel tempo di guerra, il piccolo Ota non si ritrova in campo di sterminio come i fratelli, perché il padre ha provvidenzialmente scordato la sua circoncisione. Per questo, nelle pagine più epiche del libro, sfida una vecchia e grossa carpa, ultimo pesce sopravvissuto alla fame collettiva, che ha spopolato ogni riserva ittica.
Dopo un’epica battaglia riesce a catturare il pesce, ma un avido mugnaio gli consegna solo le squame, tenendo la carne per sé. La quotidianità come riserva di epifanie è in sostanza il tema di queste storie, in cui mille dettagli di una esistenza si svolgono sotto l’aspetto di un unico gesto, maniacale, ossessivo, che pure illumina vicende personali e collettive, matrimoni, paternità, conflitti e sogni.
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