La situazione sociale e politica del Sudan è dallo scorso mese di dicembre in continuo peggioramento. Dopo una prima ondata di proteste antigovernative nei confronti del soverchiante regime di Omar al-Bashir, innescatesi a seguito del rincaro dei beni di prima necessità, e la violenta repressione attuata dal presidente sudanese, nelle ultime settimane la situazione sta precipitando ulteriormente ed è in continuo movimento. Il bilancio ad oggi parla di centinaia di carcerazioni e decine di manifestanti uccisi. Inoltre, lo scorso venerdì 22 febbraio, Bashir ha dichiarato lo stato d’emergenza a cui sono seguite ulteriori norme repressive, tra cui l’istituzione dei tribunali speciali.
Sembra non aver pace quella terra, basti pensare nel medio e lungo periodo quali memorie e di che tipo, stimoli in ognuno di noi la parola «Sudan». Probabilmente solo immagini legate a conflitti sanguinosi, alla guerra civile, alle migliaia di morti, alla separazione e indipendenza della parte meridionale meglio nota come Sud Sudan, al Darfur e ancora di più ad una parola spaventosa come genocidio. Eppure quei luoghi hanno molto e ben altro da raccontare. C’è stato un tempo in cui il marchio di riconoscimento del Sudan, era la musica. Un’epoca in cui nella capitale Khartoum, iniziava a prender forma una entusiasmante scena artistica capace di coinvolgere non soltanto le popolazioni locali, ma di esondare verso l’esterno, divenendo riconosciuta e influente anche in altre zone d’Africa. Oggi quelle melodie sono riemerse dall’oblio, tornando a brillare come allora, grazie a una etichetta discografica newyorkese sorta con un motivo ben preciso: «La Ostinato Records nasce con l’intenzione di combinare il potere dello storytelling e del giornalismo, con la musica e la storia».

DOCUMENTI
A parlare è Vik Sohonie, ricercatore musicale e giornalista che nel luglio 2016 dà il via alla sua etichetta con i dischi Tanbou Tojou Lou: Meringue, Kompa Kreyol, Vodou Jazz & Electric Foklore from Haiti e Synthesize the Soul: Astro Atlantic Hypnotica from the Capo Verde Islands. Si tratta di collezioni che recuperano e documentano alcuni tra i momenti migliori delle rispettive scene musicali dei due paesi, a cavallo tra gli anni Sessanta e Ottanta. Un modus operandi che fa parte dell’identità della label, la quale cerca di far riemergere le culture sonore dimenticate o prossime all’oblio di paesi sovrastati da instabilità politica, guerre, malfunzionamenti economici e sociali: «La Ostinato è un riflesso della mia educazione internazionale e della mia visione del mondo. Credo che la musica sia uno strumento di narrazione molto potente e che possa essere usata per rimodellare la nostra comprensione della storia e per accendere una luce diversa sui paesi che i media globali hanno demonizzato per anni. Non sono un occidentale, nasco in India e cresco tra Filippine, Thailandia e Singapore. Ecco perché oggi sono un orgoglioso cittadino del Global South e penso che questo mondo, il mio mondo, debba lottare duramente per cambiare la sua immagine globale. E la musica è il modo migliore per farlo».
A mettere in evidenza il lavoro di esplorazione di Sohonie, è stato il box Sweet as Broken Dates: Lost Somali Tapes from the Horn of Africa, il quale ai Grammy Awards del 2017 si è meritato la nomination nella categoria «Best Historical Album». Un cofanetto capace di riassumere in quindici brani il meglio dei Seventies in terra somala, sottolineando il valore delle artiste capofila di quel movimento, così da riuscire nell’intento di preservare le icone culturali di quella Somalia. Salvaguardare il patrimonio folklorico dei paesi che hanno perso il controllo della propria immagine, è l’inderogabile direzione intrapresa dalla Ostinato Records, che persegue in questa scelta anche con la recente pubblicazione di Two Niles to Sing a Melody: The Violins & Synths of Sudan, dove collimano interesse personale e attività lavorativa: «Sono da sempre un appassionato ascoltatore di musica sudanese, da ben prima di iniziare l’attività con la label. Nel corso dei miei viaggi di ricerca negli altri paesi dell’Africa Orientale, ho iniziato ad imbattermi continuamente in musicassette che arrivavano da Khartoum e dintorni. Questa casualità ha contribuito a farmi rendere conto che la musica di quei luoghi è un oceano davvero vasto. Scoprire che esisteva una narrativa sotto forma di canzoni che si estendeva ben oltre il ventennio compreso tra i Settanta e i Novanta, è servito a schiarirmi le idee». La selezione offerta propone sedici incisioni suonate e interpretate da quindici autori diversi, per un totale di novantacinque minuti che permettono una immersione nel contesto culturale e sociale del Sudan negli anni compresi tra il 1970 e il 1997: «Two Niles si concentra su uno dei più antichi e magnifici paesi del mondo: il Sudan. L’album ne racconta il periodo aureo dal punto di vista sonoro. Volutamente ho scelto di narrare per intero quello che è musicalmente accaduto in quel lasso di tempo. Questo perché si tratta di una storia molto politica in quanto in Sudan, politica e cultura sono inseparabili. Ogni cambiamento e svolta delle loro cronache politiche ha avuto un impatto sulla musica. L’album prende il via negli anni Settanta, quando il presidente Gaafar Nimeiry, un forte sostenitore delle arti, salì al potere. Prosegue poi negli anni Ottanta fino all’arrivo degli islamisti intransigenti, rei di aver ucciso la scena musicale. La terza e conclusiva parte della ricerca termina nei Novanta, quando gli artisti sudanesi costretti all’esilio a causa della repressione di Omar al-Bashir, hanno prodotto un catalogo di grandi registrazioni, principalmente al Cairo. Sono felice di ciò che è stato realizzato con Two Niles, in quanto rappresenta in pieno la Ostinato, vale a dire un’etichetta discografica capace di essere e produrre storytelling, usando la musica per veicolare storie raccontate parzialmente o superficialmente, se non addirittura negate».

VALIGIE SONORE
Il periodo cronologico di cui parla Sohonie fa riferimento all’affermazione dell’haqiba, stile musicale che è andato via via plasmandosi nel secondo ventennio dello scorso secolo. È opportuno rammentare che questo genere a sua volta, deriva dall’evoluzione dei «madeeh» ovverosia i canti religiosi di lode al profeta, vero cardine della musica tradizionale sudanese da cui ha mutuato la centralità della figura del cantante. Fino agli anni dell’immediato secondo dopoguerra, l’haqiba mantenne pressoché intatta la struttura originaria, ossia quella di un interprete vocale supportato da un piccolo coro e da alcuni strumenti tradizionali come il riq, sorta di tamburello. Il nome haqiba, traducibile come «borsa», deriva dalle valigie che contenevano strumenti e talvolta addirittura grammofoni, in viaggio dal Cairo a Omdurman, la vecchia capitale del Sudan e oramai da anni città satellite assieme a Bahri della più nota Khartoum. La destinazione di quelle valigie era Omdurman Radio, l’emittente nazionale creata nel 1941 dagli inglesi che ebbe un ruolo determinante nella diffusione dell’haqiba: considerata il trampolino di lancio per ogni aspirante nuovo artista, la National Radio divenne un crocevia di speranze di una nuova generazione di musicisti. Programmi radiofonici a dir poco leggendari come Haqibat-Al-Fan (letteralmente Valigie di archivi) condotto dallo speaker Ahmed Mohamed Saleh, contribuirono in modo sostanziale alla diffusione del genere.
Il dj sudanese scrisse letteralmente la storia, quando nel 1950 diede il via alle trasmissioni suonando una infinita serie di canzoni contenute per l’appunto in una ventiquattrore conservata nel suo ufficio. Nello stesso momento in cui le valigie dell’arte consolidavano i numi tutelari di allora, mattatori da palcoscenico come Khalil Farah e Ibrahim el-Kashif, e iniziavano a diffondere una pletora di giovani artisti che sarebbero emersi dagli anni Sessanta a seguire, l’haqiba mutava. Vennero progressivamente implementati violini, fisarmoniche, ottoni, pianoforti e chitarre, con la conseguente nascita di vere e proprie orchestre.

CRITERI RIGIDI
Il suono dei nuovi ensemble divenne mainstream, acquisendo ulteriormente popolarità grazie al collettivo più importante di tutti, la Radio Omudurman Orchestra, la quale organizzava apposite sedute di registrazione con i migliori cantanti dell’epoca. Rumours raccontano un simpatico aneddoto: sembra che la prima generazione di violinisti della R.O.O., venne istruita da un ingegnere italiano con il pallino della musica, tale Enzo Maestrelli, presente in Sudan in realtà per svolgere la sua attività di ingegnere ferroviario.
Vale la pena ricordare che i criteri d’ingresso nell’orchestra erano estremamente rigidi: diverse commissioni di esperti valutavano la qualità degli strumentisti, dei cantanti e delle liriche proposte. Una professionalizzazione spinta, all’avanguardia nel continente africano, che aveva eguale sviluppo anche nella legislazione relativa al copyright. La tutela della proprietà intellettuale è targata addirittura 1974, quando vennero definite le coordinate autoriali nelle loro due parti: il poeta per le liriche e il compositore per le musiche. Con l’ascesa al potere di Nimeiry, in particolar modo nel periodo compreso tra il 1970 e il 1983, l’industria musicale assunse dimensioni davvero notevoli riguardando anche il settore privato, dove studi di registrazioni e etichette discografiche iniziarono a pullulare. Ad accrescere gli stimoli per i musicisti sudanesi, giunse anche l’innovativa spinta del jazz a stelle e strisce. Ad aprire le danze fu il quattro marzo 1957 il trombonista afroamericano Wilbur De Paris, primo statunitense a mettere piede in Africa, iniziando proprio dal Sudan, dove portò il suo gruppo di stampo traditional, i New Orleans Jazz, per conto dell’International Program for Cultural Relations gestito dal dipartimento di stato di Washington. Lo stesso ente curò anche il secondo giro a inizio 1960, questa volta ad appannaggio del flautista bianco Herbie Mann, il quale tra l’altro omaggiò il Sudan con un brano omonimo nel suo disco African Suite. A chiudere il cerchio fu il nome più roboante e che giocoforza, maggiormente incise nella scena musicale locale: nel gennaio del 1961 fu la volta di Louis Armstrong, il quale nonostante la scomparsa della cantante Velma Middleton che aveva spezzato in due il tour africano iniziato nell’ottobre 1960, volle comunque concludere le date in programma che includevano per l’appunto, lo stadio di Khartoum. L’episodio fu immortalato da Ryszard Kapuscinski nel libro In viaggio con Erodoto. Il suono della capitale all’apice della sua forza divenne davvero dirompente e grazie soprattutto alla produzione di musicassette, superò i confini dello stato: i nastri erano rintracciabili nell’intero corno d’Africa, Ciad, Kenya, Camerun, Nigeria e perfino nella lontana Mauritania. Una circostanza questa che ritornerà poi utile a Sohonie durante la sua ricerca, in quanto proprio in paesi fuori dal Sudan ha reperito buona parte del materiale contenuto in Two Niles.
La reperibilità delle registrazioni all’estero è una conseguenza della deriva riguardante le vicende di politica interna: basti vedere cosa comportò l’ascesa al potere degli islamisti intransigenti negli anni Ottanta, che tra le varie conseguenze, vide anche la decurtazione netta degli spazi destinati all’espressione culturale. Con l’istituzione nel settembre 1983 della legge della shari’a e la sua applicazione in una modalità estremamente coercitiva, si ebbe una generalizzata riduzione delle libertà individuali e collettive, con gli esiti più disparati: dall’abolizione della birra locale Camel Beer, bandita da un giorno all’altro con tanto di distruzione in massa di bottiglie nelle strade della capitale alla presenza di Nimeiry, fino alla repressione delle attività culturali in auge. Il fermento musicale subì un tracollo generalizzato, che incluse sia la fine della vita notturna che l’annichilimento dell’attività concertistica, per giungere negli anni successivi a misure ancora più drastiche che portarono alla censura delle canzoni e alla distruzione di enormi quantità di registrazioni audio e video. Il Sudan illuminato di Nimeiry era finito per sempre, mutando identità su pressione dell’Islamic Front Charter, costola dei Fratelli Musulmani, capitanato dall’estremista religioso Hassan al-Turabi, che aprì la strada nel 1989 all’ascesa di Omar al-Bashir.
Si entrò negli anni più bui: musiciste e musicisti che decisero di restare in Sudan, lo fecero a caro prezzo, in linea con i cambiamenti sociali in atto. Chi decise di fuggire si mosse verso Europa e Stati Uniti, ma soprattutto verso l’Egitto di Hosni Mubarak, il quale offrì rifugio a dissidenti politici e artisti in fuga.

IL CANTO DEL CIGNO
Proprio dal Cairo giunse negli anni Novanta il canto del cigno del glorioso Khartoum sound. Il merito va in buona parte alla Hassad Records, etichetta con sede nella capitale sudanese, ma studi di registrazione in quella egiziana. Delle sedici tracce che compongono Two Niles, cinque provengono dall’ultimo decennio del Novecento, ma solo per scheda anagrafica. Il suono di Galbi La Tahwa Tani (My Heart, Don’t Fall in Love Again) di Samira Dunia, nonostante sia stata incisa nel 1997, ne è la riprova: le atmosfere sinuose e avvolgenti dell’orchestra oscillano grazie all’andamento di violini e fisarmoniche su una solida base ritmica e percussiva, che permette alla cantante di prendere letteralmente il volo. Dagli anni Settanta arrivano la sontuosa Ma Kunta Aarif Yarait (I Wish I Had Known) che ci presenta una dei protagonisti di maggior rilievo, il cantante Abdel El Aziz Al Mubarak in splendida forma, la ritmica quasi reggae di Al Bareedo Ana (The One I Love) del misconosciuto ma sorprendente Emad Eldin Youssef, nonché l’haqiba funk Malo Law Safeetna Inta (What If You Resolve What’s Between Us?) di Khojali Osman, apprezzatissimo cantante che fu assassinato nel 1994 da un estremista islamico che si vociferava fosse stato sobillato da apparati governativi. Vera e propria hit danzereccia è Igd Allooli (The Pearl Necklace) di Saied Khalifa, popolare vocalist noto per la canzone El Mambo Sudan. Ma la vera star della compilation è Mohammed Wardi, soprannominato «L’ultimo Re della Nubia» e icona musicale del Sudan anche all’estero. Wardi, comparabile per importanza al nigeriano Fela Kuti, è presente con ben due brani: Al Sourah (The Photo) del 1970 e Al Mursal (The Messenger) del 1997. Quest’ultima uscita discografica è ancora oggi, il maggior successo commerciale sudanese di sempre. La canzone brilla per un azzeccato equilibrio tra la classica struttura musicale dell’haqiba e un riuscito arrangiamento contemporaneo, circostanza che le dona una freschezza che non subisce gli strali del tempo. E che appare come il modo migliore per chiudere un disco che, per quanto si possa prescindere dalle vicende storiche in atto, racconta di una terra che è stata capace di generare un’entusiasmante avventura musicale, esattamente all’incrocio di due diversità unite in un abbraccio: le acque limacciose del Bianco e quelle terse del Blu, a unirsi nel fiume Nilo per come lo si conosce.