Come comandante in capo mi assumo la piena responsabilità per tutte le operazioni di antiterrorismo, compresa quella che senza volerlo è costata la vita a Warren (Weinstein) e Giovanni (Lo Porto)». Così nell’annuncio di ieri alla casa bianca Barack Obama ha ammesso che i cooperanti sono stati uccisi qualche settimana fa da missili hellfire lanciati da droni Usa su «basi di al Qaeda» nelle aree tribali del Pakistan.
L’ammissione ha segnato un ulteriore disatroso esito della «guerra dei droni» che l’amministrazione Obama da anni conduce in Medio Oriente e un tentativo di limitarne preventivamente i danni politici.

Anche se nel suo annuncio Obama ha inizialmente affermato che la tragedia fosse in qualche modo connessa a una missione di salvataggio, affermando che «dal 2011 ho dato istruzioni alla squadra di sicurezza nazionale di fare tutto il possibile per trovare (Weintsein) e riportarlo a casa sano e salvo», l’operazione che è costata la vita ai due cooperanti è stata una delle tante targeted strikes che Cia e Pentagono conducono quotidianamente contro combattenti nemici.

In questo caso pare che le vittime designate fossero due leader americani di al Qaeda, Ahmed Farouq e Adam Gadahn, portavoce dell’organizzazione, noto come Azzam al-Amriki, un dato forse ancora più delicato per Obama date le controversie sulla prassi della «uccisione preventiva» di cittadini americani già aspramente criticate in patria in occasione della «neutralizzazione» dell’imam Americano Anwar al Awlaki in Yemen nel 2011. Sull’argomento la casa Bianca si è limitata rilevare: «riteniamo che altri due americani siano recentemente stati uccisi in azioni di antiterrorismo nella stessa regione», e ha tenuto ad aggiungere che i due leader non erano stati specificamente presi di mira e che, anzi, la loro presenza nel teatro delle operazioni «non era nota».

Una improbabile versione cui Obama ha aggiunto che la «valutazione iniziale» è che l’operazione corrispondesse alle linee guida che regolano le azioni antiterroriste nella regione e che fosse supportata da «centinaia di ore di sorveglianza». Le parole sono parse un tentativo di giocare d’anticipo su una vicenda politicamente disastrosa in cui si profila un’operazione americana per uccidere americani sul territorio di uno stato sovrano che da anni le deplora, che per di più ha ucciso per sbaglio un ostaggio americano, oltre a Giovanni Lo Porto. Di lui il presidente ha detto: «il suo servizio riflette l’impegno del popolo italiano, nostro grande amico e alleato, per la sicurezza e la dignità della gente nel mondo».

Al di la delle scuse e della retorica, i fatti sono destinati a focalizzare ancora una volta l’attenzione sull’aspetto più controverso della politica estera e della presidenza Obama: l’uso massiccio di droni come strumento «chirurgico» per la soppressione mirata di «combattenti nemici». «Una delle cose che distingue gli Usa e li rende eccezionali», ha concluso ieri Obama con discutibile senso del tempismo, «è la nostra volontà di affrontare le nostre imperfezioni e apprendere lezioni dai nostri errori».

Sembra tuttavia improbabile che egli stesso sia disposto ad imparare l’unica vera lezione da trarre da questa ultima tragedia: la follia morale delle guerre per procura e di quelle telecomandate con robot assassini.