«Ciò che caratterizza la vicenda in esame è il fatto che la prova delle condotte delittuose poste in essere il 6 aprile 2020 ai danni dei detenuti del reparto Nilo è in larga parte evincibile in modo inequivoco dalla visione delle riprese video del circuito di videosorveglianza del carcere». Come scrive il gip Sergio Enea nell’ordinanza che ha disposto le misure cautelari per gli agenti di polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, se questa volta la storia delle violenze all’interno delle mura di un carcere può essere ricostruita è perché ci sono le immagini delle videocamere interne. Non tutte, visto che in due piani su cinque (il piano terra e il quarto) l’impianto di riprese interne risulta fuori uso. Ma i video «di diverse ore» arrivati in procura e dai magistrati inquirenti mostrati alle vittime del pestaggio – quelli che noi conosciamo perché pubblicati in un montaggio da Domani – sono fondamentali per provare le accuse. Sono, come scrive ancora il gip, «un presidio di conoscenza ineludibile». Grazie al fatto che sono stati messi in sicurezza.

Non è stato semplicissimo. Come ricostruisce l’ordinanza, il 10 aprile 2020 i carabinieri di Santa Maria Capua Vetere si presentano in carcere per chiedere le registrazioni video. Dalla violentissima «perquisizione straordinaria» sono passati quattro giorni, Ma sono passate solo poche ore dalla ispezione nel reparto Nilo da parte del magistrato di sorveglianza Marco Puglia (arrivato senza preavviso in carcere la sera del 9 aprile). Di fonte alla richiesta dei carabinieri «il personale penitenziario prospettava l’impossibilità di intervenire sull’impianto di videosorveglianza in assenza di personale tecnico». Il giorno dopo, 11 aprile i carabinieri nominano un ausiliario di polizia giudiziaria perché scarichi i file delle videoregistrazioni, Ma anche questa operazione risulta impossibile. Allora procedono al sequestro di tutto l’impianto, nominando custode la comandante della polizia penitenziaria del carcere Nunzia Di Donato (poi anche lei indagata). Passano altri tre giorni e solo il 14 aprile il consulente tecnico riesce a scaricare i video delle riprese all’interno del reparto Nilo del 5 e 6 aprile.
Il garante nazionale dei detenuti Palma ha spiegato qual è il rischio con queste registrazioni all’interno dei penitenziari: si conservano solo per pochi giorni, poi vengono sovrascritte. Per questo stavolta è stata fondamentale la loro acquisizione rapida. Anche perché uno dei tentativi di depistaggio da parte degli indagati ha riguardato proprio i video.

Secondo le ipotesi dell’accusa accolte dal gip, infatti, il 9 aprile 2020 quando ormai la notizia del pestaggio era uscita dal carcere grazie ai racconti dei detenuti nei colloqui con i familiari, il comandante del nucleo operativo del carcere di Secondigliano Pasquale Colucci, che aveva guidato la pattuglia di agenti arrivati da Napoli per la «perquisizione straordinaria» e che adesso è in custodia cautelare in carcere, visionò i filmati delle proteste dei detenuti del 5 aprile. E visionandoli li riprese con il suo telefono su incarico del provveditore regionale alle carceri Antonio Fullone. Poi inviò cinque spezzoni video a un altro agente di polizia penitenziaria, Massimo Oliva, chiedendogli di togliere l’audio e di cambiare la data del file, retrodatando la sua ripresa del video dal 9 al 6 aprile 2020. Alla fine questi file sono stati consegnati ai carabinieri come prova che la «perquisizione straordinaria» era stata decisa come reazione spontanea e immediata alla rivolta dei detenuti del Nilo