Ogni numero stampato in poche centinaia di copie, cadenza semestrale, distribuzione in poche librerie, durante le fiere e le presentazioni e attraverso i canali social. Ma Ossì, la fanzine porno che, con tre numeri esauriti e un quarto di cui rimangono pochissimi esemplari, mette in discussione la nostra idea di porno, non è solo underground: è un’autoproduzione curata nei minimi dettagli, che si ispira al passato nello stile, ma è squisitamente contemporanea.
La redazione, composta da due pubblicitarie e una redattrice, si stava preparando per lanciare il quinto numero al Salone del libro, ma il lockdown ha scombussolato tutti i piani. «Non riusciamo a pensare di lanciare un numero di Ossì senza presentarlo di persona: adoriamo parlarne in giro, con persone interessanti; ci piace l’atmosfera che si crea, le risate e gli imbarazzi. Adesso valuteremo, decreto dopo decreto».
L’ideatrice del progetto e della rivista, Alice Scornajenghi, è appena stata ospite del programma ContamiNation, il format ideato da Cappelli Identity Design e dedicato alla promozione della cultura del design, della comunicazione, del marketing e delle arti grafiche.

Leggendo «Ossì» si percepisce la volontà di recuperare un genere – «il giornaletto porno»- un tempo e un gusto, se non un’abitudine, passati. Quali modelli aveva in mente nel concepire la fanzine?
Da ragazzina desideravo tantissimo leggere un giornaletto porno. Mi ricordo ancora quei fugaci incontri con qualche pagina di giornaletto «sozzo» strappata e abbandonata al parco o lungo il ciglio di qualche strada desolata, la morsa alla pancia per la curiosità di volerlo, di saperne di più. Ma in quanto femmina non avevo accesso al porno e alla morsa alla pancia mi sono dovuta rassegnare. È stato così per tutti gli anni della mia formazione, perché internet non c’era ancora. Così ora che sono adulta ho deciso di farlo io, quel giornaletto che al tempo avrei voluto reclamare dal fondo dell’edicola. Quando ho pensato a Ossì non avevo in mente un modello in particolare, sono partita dall’amore per la narrativa pornoerotica, che è un genere con una storia di tutto rispetto , che purtroppo ormai nell’editoria mainstream è per lo più relegato ai romanzetti softporn pieni di stereotipi. La semplicità del modello di Ossì (un unico racconto medio-lungo, affiancato dalle foto di un solo fotografo o fotografa e una playlist da sesso) deriva dall’urgenza stessa di farlo. Volevo creare la mia fanzine, farla uscire, senza pormi obiettivi che non sarei stata in grado di portare avanti. La conferma che questa era la strada giusta è venuta studiando e leggendo uno di quei famosi giornaletti che non ho mai avuto da ragazza: Supersex, un fotoromanzo italiano degli anni ’70-’80, che oltre a essere stupendamente pop, ironico e sexy, organizzava ogni numero intorno a un’unica spy story porno, stop. Niente orpelli, niente inutili rubriche.

Il giornale è costruito con racconti e fotografie, originali o di archivio, tratte dai porno anni ’70, che insieme alle grafiche e ai font contribuiscono al gusto retrò. Le ambientazioni delle storie sono invece squisitamente contemporanee. La vostra ricerca artistica funziona con un occhio al passato e uno alla contemporaneità?
Ossì per la sua genesi vuole essere l’evoluzione dei vecchi giornaletti porno, non una sorella delle riviste erotiche contemporanee, che sono spesso molto belle e patinate, ma la cui fruizione è molto lontana da quella della pornografia vera e propria. Quindi affiancare ai contenuti contemporanei a quelli dei vecchi giornaletti ci è sembrato un modo per rimarcare questa filiazione.
L’art director, la bravissima Francesca Pignataro, dice che la ricetta alla base dell’estetica di Ossì prevede una contaminazione costante tra passato e presente. Il materiale d’archivio viene selezionato dopo una lunga ricerca sul web, nei mercatini dell’usato o in preziose librerie italiane che dedicano uno spazio a vecchie pubblicazioni hot. In questa contaminazione, che cambia nei dettagli di numero in numero, gioca un ruolo decisivo anche l’aspetto tipografico: tutti i caratteri sono contemporanei, ma spesso hanno un design d’ispirazione dichiaratamente storica.

I vostri collaboratori si dedicano a scrittura e foto di genere non necessariamente erotico: come reagiscono normalmente alla vostra proposta?
Per quanto riguarda le immagini, in realtà parliamo di fotografi che già bazzicano questo genere. In quanto piccola autoproduzione non abbiamo budget per allestire dei set, quindi una volta ricevuto il racconto e settato il mood del numero, selezioniamo e contattiamo un fotografo o fotografa che ci piace e le cui immagini siano in grado di dialogare con il testo. I racconti li commissioniamo: è inevitabile, non ne scrive quasi nessuno di porno come lo vogliamo noi, fresco, eccitante, onesto e intelligente. Valutiamo tutto quello che arriva alla casella di Ossì, ma non c’è quasi mai niente che ci convince fino in fondo. Ossì mi ha dato il grande privilegio di contattare autori che adoro e chiedere: «Ciao, ti va scrivere un porno per me?». Quando Ossì era agli inizi abbiamo ricevuto solo reazioni affermative immediate perché nessuno aveva idea di chi fossi e che cosa stessi davvero facendo, quindi da un lato la curiosità li spingeva a rispondere per saperne di più, dall’altro c’era pure il desiderio di realizzare un esperimento underground, senza particolare risonanza.
Ora che la fanzine inizia a farsi conoscere, le persone ci pensano un po’ più a lungo, c’è più cautela, ma in generale la risposta è sempre molto positiva. Quello che mi hanno detto più o meno tutti gli autori che hanno lavorato con Ossì è che scrivere porno si è rivelato estremamente divertente e non vogliono smettere di farlo!
Probabilmente perché scrivendo un racconto erotico c’è l’obiettivo preciso di far eccitare, e questo è quel genere di paletto che aiuta a muoversi meglio invece di limitare, come le righe sui fogli. Ma per far eccitare davvero devi metterti in gioco: Veronica Raimo (autrice del racconto di Ossì 3) durante una presentazione ha detto che in fondo ogni scrittore sogna di far eccitare il mondo con quello che scrive. Mi è sembrato molto bello e vero.

C’è moltissima attenzione alla veste grafica, oltre che al contenuto letterario e iconico. Però il metodo di stampa cambia, forse anche la carta e la stamperia, che ovviamente sono sempre menzionate. Come influiscono i contenuti nelle scelte cartotecniche?

Con Ossì abbiamo voluto sperimentare sotto ogni punto di vista, ma soprattutto ci siamo divertite. Questa scelta si riflette anche sul metodo di stampa, la scelta delle carte e dei colori. Abbiamo stampato il primo numero da Spazio Florida ricorrendo alla risograph, una tecnica di stampa che ha dato alla pubblicazione il sapore della fanzine in senso stretto. Le copie del primo numero sono tutte diverse l’una dall’altra, proprio perché la risograph ha un margine di precisione variabile. Dopo siamo passate alla stampa off-set a due e tre colori con Tipografia Mistero. Negli ultimi tre numeri abbiamo giocato con le tinte fluo e i profili colore, intervenendo direttamente su fotografie, collage ed elementi grafici. I contenuti hanno sempre in qualche modo guidato le scelte formali per la realizzazione di un prodotto in grado di essere accolto da lettori anche molto diversi tra loro.

I racconti che, ricordiamo, narrano «storie da mondi che ci piacerebbe esistessero» sono sempre, ironicamente, legati a un messaggio promozionale. Come funziona in questo senso il lavoro editoriale? Sono gli scrittori che propongono l’oggetto?
Poiché ogni numero di Ossì è un piccolo mondo a sé, ci è venuta l’idea di inserire le finte pubblicità legate a ciò di cui si parla nel racconto per rendere quel mondo ancora più definito e vero. In più, per me e Francesca – che con la pubblicità paghiamo le bollette – è un modo per giocare con la nostra professione e sottolineare la libertà che ci prendiamo in questo senso con Ossì, che è un’autoproduzione al 100% e non cerca sponsor di nessun tipo, la fanzine per noi è uno spazio di pura passione e divertimento, ci basta che si autofinanzi.
Per quanto riguarda la scelta degli oggetti e i messaggi delle pubblicità, lo faccio io, è un po’ il mio cameo all’interno del numero. Anche se a volte sbaglio: ho il grande rimpianto per il numero 3 di aver messo l’accento sull’appartamento invece che sul mattarello francese.

Avete ricevuto attenzioni da molti media: da dove veniva l’interesse che vi ha più incuriosito o sorpreso?

In generale devo dire che non mi sarei mai aspettata tutta questa attenzione. Immaginavo una fanzine che avrebbe girato in una cerchia abbastanza ristretta, che sarebbe stata venduta tra gli amici e, al massimo, tra gli amici degli amici. Il momento più sorprendente in questo senso è stato forse quando ci siamo ritrovate a portare il porno in homepage di Repubblica. È successo per poche ore e a notte fonda, ovviamente, ma per un po’ siamo state lì in alto, proprio accanto alla Champions League: è stato molto divertente.

Da una decina di anni a questa parte il porno è attraversato da operazioni di recupero importanti che accompagnano fenomeni sociali notevoli. Sono numerose le sex activist, i festival dedicati all’erotico e al porno e gli studi accademici che propongono nuove approssimazioni e fruizioni del genere. Come si colloca la vostra fanzine in questo panorama?
La fanzine fa certamente parte di questo contesto. A livello personale molte scoperte le sto facendo insieme ad Ossì, ma so che se la mia storia non avesse in qualche modo vibrato all’unisono con una rete più grande, la fanzine non esisterebbe.
Il porno, dopo essere stato per decenni il paradiso degli stereotipi sessisti, ora sta diventando il terreno per la creazione di incredibili spazi di libertà e sperimentazione. Ossì lo fa in modo molto scanzonato, ogni materiale che pubblichiamo deve prima di tutto passare una dura selezione che risponde a una sola domanda: «ci eccita o non ci eccita?», ma il fatto di essere tre donne (oltre a me e Francesca, c’è Marzia Grillo che si occupa di editing e redazione dei testi) a realizzare un giornaletto porno rivolto a chiunque è già di per sé un dato rilevante. Prima noi donne eravamo solo oggetto della pornografia, ora ne siamo anche soggetto, la fruiamo e la produciamo.
D’altronde, con l’avvento di Internet, milioni di ragazze hanno avuto in massa accesso al porno, era inevitabile che iniziassero a dire la loro; dar voce e forma ai propri desideri è una forma meravigliosa e potente di militanza.