Chi sarà mai il regista che inizia il suo film con l’immagine dell’universo, del caos primordiale? Ma è lui, l’unico, Terry Gilliam, che arriva solo ora nelle sale con il suo The Zero Theorem, visto a Venezia, il teorema che vorrebbe dimostrare che tutto è uguale a zero, una possibile risposta alla domanda sul «senso della vita» che divertiva così tanto i Monty Python delle origini. Uno scienziato non troppo sano di mente e geniale (Christoph Waltz) è il protagonista, refrattario al contatto umano, che vive in una grande chiesa dismessa, circondato da affreschi, vetrate policrome, colonne tortili e cumuli di libri e computer di futura generazione, ma certo assai affidabili. Appena esce fuori dal portale è immerso in un caos di bombardamenti pubblicitari di cui è maggiormente responsabile l’azienda per cui lavora, l’impresa leader del settore con a capo Management (Matt Damon) che gli affida i compiti più complessi, come l’insolubile teorema. Riesce infine a fare in modo di lavorare da «casa» con uno sveglissimo stagista quindicenne, figlio del boss.

E mentre una spumeggiante bionda (Mélanie Thierry), sintesi tra Judy Holliday e Marilyn («che hard drive enorme che hai!»), gli apre i paradisi dell’incontro virtuale, l’unico che è in grado di sostenere, qualcosa di non virtuale si fa largo nella sua mente e soprattutto nel suo cuore. Ricordiamo The Crimson Permanent Asurance, il suo episodio del Senso della vita quando era tra i Monty Python, la geniale scena degli impiegati anziani e malmessi dell’agenzia di assicurazioni che si distaccavano in volo dal loro ufficio diventato un vascello di pirati a sintetizzare inaspettatamente la nuova schiavitù del lavoro e la via d’uscita. Qui con un vasto dispiegamento di costruzioni sbalorditive si mostra una società del «futuro» che impone la separazione tra gli individui e favorisce i contatti solo virtuali.

E ancora una volta ognuno dovrà dare le sue risposte, se non si perderà nella fantasmagorica costruzione dell’avvicendamento delle scene dove costruzioni e personaggi si fondono.

Lui e lei a un certo punto ondeggiano dello spazio come una citazione reciproca Gilliam-Cuaron: ci sarà pure un significato in questo. L’uomo dovrà probabilmente disconnettersi per ritrovare un senso, soprattutto per non essere vittima del nuovo sfruttamento del lavoro, anche se ha smesso di farsi domande per paura del licenziamento. Il divertimento puro di questo film allontana istanze moralistiche, va al nocciolo delle cose, a dispetto dello sguardo che vaga da un’invenzione all’altra, troppo humour per cedere alle banalità, al volgare trucco virtuale.