Sono pagine intense, che coprono due secoli, svariati paesi e che giungono fino alla contemporaneità più prossima quelle che raccontano La scelta di Abramo – saggio sulle identità ebraiche di Wlodek Goldkorn (Bollati Boringhieri, pp. 127, euro 12).

Edito per la prima volta  nel 2006, il libro compare oggi in una edizione parzialmente rivista in cui, pur ragionando di ebrei, non scrive solo di loro: racconta la storia dell’occidente, del suo rapporto con l’idea stessa di cittadino, del comunismo dentro e fuori l’Unione sovietica, di Stalin, di Ben Gurion, di Hitler, del nazismo e della Shoah e delle strategie di vita di coloro che ne sono sopravvissuti. Ma, all’inizio di tutto, c’è una promessa che è premessa di un nuovo capitolo della storia, nel caso degli ebrei – secondo Goldkorn – «la grande promessa della modernità: abolire l’ebraismo. Trasformare l’ebreo concreto in carne e ossa – non dunque la metafora dell’ebreo – in un essere astratto, in cittadino».

ERA LA FINE DEL SETTECENTO e a declinare la promessa di libertà dell’Illuminismo arriva la dichiarazione del conte di Clermont-Tonnerre: «Agli ebrei tutto in quanto individui, niente in quanto nazione». E quando, con la Rivoluzione del 1789, alla promessa viene dato seguito agli ebrei – quelli reali, quelli fino ad allora chiusi nei ghetti, in carne e ossa, tradizioni, mestieri, denari, povertà e lingue – non resta che inventarsi di nuovo. Nasce allora un ebraismo inedito in cui al singolare della tradizione unificante si sostituisce una pluralità di appartenenze che si sviluppano nella storia e nella geografia. Da allora l’identità ebraica va declinata al plurale. Ma – proprio perché non parla unicamente di ebrei – «ognuno – scrive Goldkorn – ha il diritto non solo di scegliersi il futuro ma anche il presente e il passato. A ognuno il diritto di cambiare identità, di inventarsela, di farsi padrone del proprio destino». Eppure, «oggi questa grande chance è di nuovo a rischio. La globalizzazione ha avuto come uno dei suoi prodotti un’ossessione identitaria, una fissazione su appartenenze tribali inventate che mette in questione la categoria stessa di cittadino».
Wlodek Goldkorn, a lungo responsabile culturale all’Espresso, è stato in questi ultimi anni autore prolifico – Il guardiano. Marek Edelman racconta con Rudi Assuntino, Il bambino nella neve, L’asino del Messia – è nato in Polonia, vissuto in Israele e arrivato in Italia ma quando scrive «chi odia il cosmopolitismo è spesso pronto a diventare antisemita e antimperialista» non narra una vicenda personale ma un percorso intellettuale che ha riguardato in modi diversi, e altrettanto profondi, sia la destra che la sinistra, che andrebbero – anche esse – declinate al plurale.

L’ANALISI di Goldkorn racconta così i cortocircuiti non solo degli ebrei ma anche delle identità che vi si confrontano: attraverso diversi momenti della storia sovietica, della Polonia e dei suoi pogrom antiebraici durante e dopo la fine della seconda guerra mondiale. E incrociando antiamericanismo e antiimperialismo. Si racconta anche della nascita del socialismo ebraico a Vilnius – oggi capitale della Lituania – negli anni ottanta dell’ottocento: «Il Bund (assieme ad un’altra piccola corrente populista) – scrive l’autore – fu l’unico ad insistere sul fatto che nella modernità si entrava così come si era, non sognando la scomparsa degli ebrei ma, anzi, parlando lo yiddish, lottando per i diritti nazionali e difendendo armi in pugno gli ebrei minacciati dagli antisemiti. E il primo dovere dei rivoluzionari era restituire la dignità degli umili». Per loro la questione della nazionalità era scissa da quella della territorialità: il Bund antisionista è stato assassinato da Stalin e dal nazismo ma l’idea di una nazionalità linguistica priva di territorio si affaccia forse oggi ai margini delle nostre metropoli.

ALL’ELENCO DELLE IDENTITÀ plurali non mancano i sionisti – diversi al loro interno – i liberali, gli assimilazionisti e le varie forme di radicalismo. Per capire però un titolo che condensa in Abramo tutte le multiformi identità ebraiche Glodkorn immagina il patriarca che discute con Dio e che si sottrae all’obbligo del sacrificio del figlio Isacco. E discutere prevede, intrinsecamente, un’alterità e una pluralità.