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«È una censura mascherata, ma noi continueremo ad andare avanti col nostro lavoro».
Così Hamid Guemache, fondatore, insieme al fratello Lounès, di Tsa – Tout sur l’Algérie, primo quotidiano online algerino in lingua francese. La testata, che l’agosto scorso ha superato per accessi due colossi arabi dell’informazione come Ennahar ed Echourouk, è stata infatti parzialmente oscurata, tra le 23 e la mezzanotte del 5 ottobre scorso. Ancora oggi, a più di un mese di distanza, gli utenti di Algérie Telecom e di altre due società minori, non riescono ad accedere ai contenuti del sito. Sono stati numerosi i tentativi, da parte dei fratelli Guemache, di contattare gli uffici delle compagnie telefoniche. Dopo le prime risposte evasive, più nulla: nessuna spiegazione sulla causa del blocco, nessun intervento da parte del ministero delle telecomunicazioni. Il ministro competente, Djamel Kaouma, ha fatto sapere che il suo dipartimento è totalmente estraneo alla vicenda e che non esiste alcun coinvolgimento delle istituzioni.

Ma Guemache (Lounès) rilancia: «Algérie Telecom rifiuta di collaborare e questo è un attentato, non solo alla libertà di stampa e d’espressione, ma anche all’utilizzo di mezzi come internet». Quando Tsa venne fondato, nel 2007, gli uffici e la direzione erano in Francia. Il vuoto legislativo algerino non consentiva l’apertura di un sito d’informazione in francese. Dal 2010, quindici giornalisti e venti altri dipendenti del quotidiano hanno cominciato ad animare la redazione al sesto piano della torre di Audin Square, nel cuore di Algeri. Anche Reporter Sans Frontières (Rsf) crede in un coinvolgimento della politica, proprio a causa dei toni critici utilizzati dalla testata nei confronti delle autorità. L’Algeria, che nella classifica di Rsf è solo al 134/mo posto – dopo aver perso, rispetto al 2016, ben cinque posizioni – soffre un vuoto istituzionale che ogni anno si fa sempre allarmante. Dal 2013, l’assenza sulla scena pubblica del presidente Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999, sta destabilizzando il paese, ancora alle prese con i suoi fantasmi: dal terrorismo fino al pericolo, sempre incombente, di una prova di forza militare.

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In fatto di libertà di stampa, la prolungata assenza di Bouteflika ha seriamente limitato la rosa dei temi di cui «è lecito parlare». Ormai, sembrano essere tabù argomenti come la salute del capo dello stato, i beni posseduti dai leader algerini, la corruzione. Perfino la morsa della crisi economica che affligge il paese.
Nel corso del 2016, quattro persone, tra blogger e professionisti dell’informazione, sono state attestate per alcune loro pubblicazioni. La morte in prigione, l’11 dicembre 2016, del giornalista algero-britannico Mohamed Tamalt, detenuto per alcune osservazioni condivise sui social e ritenute offensive per il presidente della Repubblica, ha scosso l’opinione pubblica, mettendo in discussione le condizioni di detenzione dei carcerati.
Ma qualche buona notizia c’è: dopo il blocco di Tsa, sono giunte manifestazioni di solidarietà da parte di testate come El Watan, Afp e Huffington Post Maghreb, che hanno dedicato l’apertura delle proprie pagine al caso. Non solo, numerosi direttori ed editori stanno lavorando alla creazione di un’associazione di categoria che permetta alle testate online di difendere i propri diritti.