Dobbiamo a Michel Foucault la definizione della biopolitica come una forma di razionalismo governativo che a partire dal XVII secolo comincia a estendere la sua amministrazione sui corpi e sulle vite. Ne La volontà di sapere, quel primo e cruciale volume della sua Storia della sessualità, l’esercizio del potere, tramite la regolamentazione dei corpi, ambisce cioè all’amministrazione delle vite. In questa direzione va accolto lo spettro di possibilità di intervento che è passato dalla liberazione sessuale fino alla contraccezione e all’aborto passando, oggi, per la tecnicizzazione della fertilità e della procreazione.

Rispetto all’immaginario della biopolitica come si è posizionato il femminismo della differenza italiano nel suo confronto con il contesto francese e rispetto alla queer theory? Secondo Nadia Setti, codirettrice del Centro di studi di genere e professoressa di letteratura comparata e di studi di genere dell’Université di ParisVIII, il nodo fondamentale è quello dell’identità politica. Da una parte la critica queer e la ridiscussione dell’idea di una identità di genere a partire dalla marginalità delle minoranze, dall’altra le politiche dell’identificazione in quanto soggetti, assoggettati nel senso di identificati da un’identità dichiarata. Ancora una volta è stato aperto il vaso di Pandora, da cui le oscillazioni, le ambivalenze e i molteplici passaggi tra identificazione e dis-identificazione.
La ridiscussione dell’idea stessa di identità a partire dalla (fruttuosa) marginalità delle minoranze sessuali GLBTQ ha a sua volta marginalizzato il posizionamento del pensiero della differenza italiano e la nozione di «differenza sessuale».

Nel ripensamento della nozione di biopolitica in relazione ai corpi sessuati nasce il seminario dal titolo Le / la biopolitique: sens, usages, limites ou contestations du terme dans le champ de la réflexion sur le genre et les sexualités (Il biopolitico/La biopolitica: senso, uso, limiti o contestazioni del termine nel campo della riflessione sul genere e le sessualità), organizzato dal Centre d’études féminines et d’études de genre dell’Université di ParisVIII e dall’Unità Mista di Ricerca LEGS.

Anne Emmanuelle Berger, professeur di letteratura francese e di studi di genere, autrice del prossimo And Yet She Speaks: Italian Feminism and Language, nel volume Another Mother: Essayes on Italian Feminism, Cesare Casarino and Andrea Righi eds, University of Minnesota Press, 2017), nonché direttrice del LEGS, ci risponde in merito alle motivazioni di tale scelta:

Anne Emanuelle Berger
Biopolitica come politiche dei/sui corpi. Quali sono le motivazioni che vi hanno condotto alla scelta di un seminario sulla «biopolitica»?

Varie ragioni. Da una parte si è trattato di ragioni di ordine intellettuale o teorico, dall’altra di tipo congiunturale, ma che puntano in ogni caso a delle scommesse politiche e filosofiche, ad oggi fondamentali.
Pensato su due anni (2015-2017), questo seminario pubblico del LEGS (Laboratorio di studi di genere e della sessualità) assicura la continuità ad un precedente seminario consacrato alle maternità (al plurale). Si trattava allora di rilanciare la riflessione su un topos e una questione che dividono profondamente i femminismi occidentali, fin dalle origini delle prime teorizzazione femministe in materia. Ora, se la questione della maternità può essere affrontata da punti di vista molto vari (esperienza singolare di un sesso, ruolo sociale attribuito ad un genere, posizione simbolica e/o immaginaria di un soggetto, pratica del care, istituzione socio-politica, elemento strutturante della funzione parentale, ect.), un certo numero di evoluzioni tecnologiche e sociali attuali (biotecnologia della riproduzione, nuove forme d’organizzazione delle relazioni parentali) invitano a riflettere sulla maternità a partire dalla duplice prospettiva del bio-potere e della biopolitica.
In Francia, le recenti controversie attorno alla liberalizzazione delle tecniche di inseminazione artificiale per le coppie lesbiche, o ancora attorno alla maternità surrogata, rivelano la natura di quella che Foucault aveva per primo teorizzato essere la biopolitica. La biopolitica, come rivelato dal nome stesso, designa tutto quello che dipende dalla politica del vivente (bios), sia che questo vivente sia animale o umano. Essa obbliga a pensare alla frontiera tra gli essere viventi da questo punto di vista. La nozione di vita evoca letteralmente e immediatamente, almeno nelle lingue romanze, la vita organica, e la sua perpetuazione; (in greco, in Aristotele per esempio, si tratta di qualcos’altro, dal momento che la vita, bios, costituisce fin da subito l’oggetto di una definizione assiologica e politica che la distingue dalla vita animale, zoe). Vie o bios, la vita eccede largamente la questione del corpo, e ancor più quella del corpo sessuato. Di fatto, bisognerebbe guardarsi dal confondere e dall’identificare, come avviene troppo di frequente, le nozioni di vita, di sesso e di natura.
Teorizzando per la prima volta le nozioni di bio-potere e di biopolitica Foucault ha fatto della sessualità, e contemporaneamente del corpo riproduttore, del corpo gaudente e del corpo sessuato e sessualizzato, un bersaglio centrale del biopotere e una sfida centrale della biopolitica. In tale orizzonte pensare al corpo come sessuato e sessuale costituisce uno dei modi possibili di spostare, fino a sorpassare, la vecchia opposizione metafisica tra natura e cultura. Ciò permette anche di rivisitare, storicizzandola e politicizzandola, la questione del biologico, considerata per lungo tempo come un tema scottante nell’ambito degli studi di genere.
Oggi le questioni legate alla politica sessuale (nel doppio senso di politica dei sessi e di politica della sessualità) occupano un posto importante in seno alle democrazie occidentali. Ad un altro livello, l’embricatura delle evoluzioni tecnologiche e degli interessi capitalisti è tale che il corpo vivente, i corpi umani e i corpi animali sono l’oggetto di un trattamento tecnico-politico sempre più invasivo e impellente, rispondente agli imperativi e agli obiettivi dell’economia capitalista. Tutto ciò conduce a riflettere e rende pertinente, e anche urgente, l’interrogazione dei nuovi meccanismi o delle nuove manifestazioni del bio-potere, a partire da una prospettiva che possiamo definire femminista. Cosa diventa la sete d’emancipazione in questo contesto? È ancora possibile oggi proclamare, come facevano le donne agli inizi degli anni Settanta, «Il corpo è mio e me lo gestisco io»?

Quali saranno le problematiche che affronterete durante i vari seminari?

C’è una diversità intellettuale tra coloro i/le quali intervengono, e dunque dei discorsi. Da cui una grande varietà delle tematiche affrontate per quanto riguarda i rapporti tra biopolitica, ordine del genere e ordine della sessualità. Alcuni seminari sono consacrati agli aspetti e alle implicazioni multiple della tecnopolitica e della procreazione; altri a l’interrogazione delle frontiere concettuali e politiche che separano umano e animale, in favore di una riflessione sul trattamento degli animali nella ricerca medica e l’allevamento industriale, ma anche sugli avanzamenti giuridici in materia. Una tale riflessione fa emergere il rapporto incosciente, o immaginario, tra il corpo animale e il corpo femminile. Altri seminari esplorano la complessa intersezione tra le politiche sessuali e le politiche di razzializzazione di certe minorità definite etniche, quali quelle dei Rom oggi in Europa. Altri ancora mirano a fare evolvere il campo stesso degli studi di genere, rivisitando la sua storia, sia nel senso della promozione delle nuove forme di concepire il posizionamento e la storia del corpo nella confluenza tra la biopolitica e l’elaborazione di un nuovo pensiero epistemologico, sia, in senso socio-politico, del femminismo e del pensiero femminista. Questa interrogazione può passare da una disanima dei discorsi che il pensiero femminista tiene o ha tenuto sul «biologico» fin dalla costituzione della questione sessuale come una questione centrale negli anni Settanta. Essa può passare da un’analisi delle posizioni contraddittorie prese dai pensatori e dalle pensatrici e dagli attivisti/e sulle questioni di biopolitica e di procreazione, o ancora attraverso un’attenzione alla questione della prostituzione, per cui la gestione politica rivela l’esercizio del biopotere, nel senso che Foucault ha dato a questo termine.

Come affrontare la nozione di «biopolitica» da una prospettiva di genere? È possibile valutare il rapporto tra i corpi delle donne e il tentativo della loro normalizzazione da parte del potere da un’angolatura sessuata ma non essenzialista?

Foucault non si è interessato al genere in quanto tale, in tutti i casi non l’ha fatto nella Storia della sessualità. Eppure la questione del genere e quella dell’ordine sessuale (che comprende a sua volta l’ordine dei sessi e l’ordine delle sessualità), come ordine normativo e gerarchico, non sono dissimili, sia se si pensi alla sessualità come formazione storica o come dispositivo disciplinare (configurazione e categorizzazione dei corpi e delle relazioni, controllo e piacere), sia se ci si interessi al suo trattamento politico. Ancora una volta si tratta dell’importanza sempre maggiore data alle questioni sessuali nell’arena democratica; si tratta della piena iscrizione del corpo – concepito finora come in fuga, o piuttosto come obbligato a fuggire, almeno in parte, dal suo sfruttamento commerciale –, nel registro degli scambi commerciali e delle modalità capitaliste di sfruttamento della materia e del vivente; si tratta della modificazione tecnologica potenzialmente infinita di quest’ultimo; si tratta infine della modificazione dei suoi usi sociali nel regime capitalista liberale in ambiti vari – quello per esempio della sanità, della riproduzione e del consumo (da cui derivano prostituzione e pornografia) –. Tutto ciò non può non avere un’incidenza sul nostro modo di pensare, e innanzitutto di vivere, sui nostri corpi (il nostro e quello o quelli degli altri), dal quale si concepiscono le nostre «identità» sociali, cominciando dalla nostra identità di genere, e da cui a livello psichico si producono, tematizzandosi, le nostre identificazioni.

Proporre un seminario sulla biopolitica, nell’ambito di una unità di ricerca negli studi di genere e della sessualità, è come accompagnare tramite la riflessione un fenomeno di scottante attualità, partecipare ai tentativi attuali di ripensare le grandi opposizioni che strutturano ancora il campo della ricerca nelle scienze umane (partendo dall’opposizione tra natura e cultura), cominciando dalle trasformazioni materiali, sociali e simboliche del corpo umano, preludio alla riconfigurazione epistemologica del corpo vivente in atto oggi. Si tratta anche, sicuramente, di ritornare su una tradizione filosofica e epistemologica ricca, anche se relativamente recente, che permette di fare dialogare o di confrontare differenti tradizioni occidentali, le francesi (con Foucault e Derrida per esempio), le angloamericane (con Haraway, Butler o ancora Fausto-Sterling), o le italiane (con Agamben, Esposito e le filosofe delle differenza), giusto per citare qualche possibile risorsa di riflessione.

A tal merito e in merito anche ai rischi di una essenzializzazione della nozione di «differenza sessuale» come si posiziona il LEGS nel suo confronto con il pensiero della differenza italiano e quello queer?

Il LEGS è il risultato di una storia intellettuale e istituzionale complessa. La politica di legittimazione degli studi di genere ha come obiettivo di mettere fine a ciò che appare finora come un paradosso francese: da una parte il pensiero francese ha giocato un ruolo «motore»nello sviluppo della «teoria femminista» in Occidente fin dagli anni Settanta; dall’altra la Francia accusava un ritardo nel riconoscimento degli studi di genere in ambito universitario, almeno fino a tempi recenti. Tale reticenza deriva da plurime ragioni, che sono grossomodo di tre ordini: centralismo statale del sistema universitario francese che limita la libertà e frena l’innovazione, particolarmente nel campo delle scienze umane e sociali; un carattere contemporaneamente patriarcale e patrimoniale dell’istituzione universitaria francese, malgrado la sua recente conversione alla logica del «mercato della conoscenza»; infine, una diffidenza intellettuale e bipartisan nei confronti di un modo di procedere «particolarista», cioè identitario, che contraddirebbe la Ragione universalista.
Ma il LEGS e l’Università di ParisVIII, erede di quella di Vincennes, è ad oggi il luogo di fondazione principale ed è anche il discendente del Centro di ricerca in Studi femminili. Quest’ultimo, fondato nel 1974 da Hélène Cixous, ha da sempre accolto delle ricerche e delle prospettive che possiamo dire vicine, sotto ogni aspetto, al cosiddetto «femminismo della differenza» italiano, anche se la mobilizzazione della prospettiva, o della logica, della «differenza» ha in realtà dato luogo a delle posizioni estremamente variegate e talvolta difficilmente conciliabili, malgrado una certa comunanza di riferimenti intellettuali e l’apparente unità di vocabolario teorico. Oggi il LEGS è uno dei rari luoghi universitari ad accogliere delle ricerche e delle correnti di pensiero molto diverse tra di loro, anche divergenti, ma che lavorano secondo una buona intesa collegiale. Vi si trova qualche ricercatrice che conosce il lavoro teorico e politico del «femminismo italiano», e che ne tiene conto nel proprio lavoro di ricerca o nel proprio insegnamento, vi si trovano ricercatrici e ricercatori che lavorano sull’eredità delle cosiddette «femministe francesi», pur essendo esperte/i del pensiero queer, dei sostenitori e delle sostenitrici del cosiddetto «femminismo materialista» che si interessano innanzitutto ai «rapporti sociali di sesso» e dubitano dell’articolazione teorica e politica tra questioni di genere e questioni di sessualità, e infine, dei ricercatori e ricercatrici che si situano piuttosto nell’orbita di Michel Foucault e di Judith Butler.
La svolta queer è, nel suo complesso, innegabile. La natura e le attese degli studenti negli studi di genere confermano che le questioni iniziali del femminismo degli anni Settanta sono state parzialmente superate, o quantomeno indirizzate dal pensiero queer. La riconcettualizzazione del genere e delle differenze a partire dall’esperienza e dalla prospettiva delle sessualità minoritarie ha profondamente trasformano il campo. Resta che ParisVIII, con il suo master in Studi di genere e il suo dottorato in Studi di genere inscritto nel LEGS, è ad oggi uno dei solo luoghi di dialogo reale tra le differenti tradizioni occidentali del femminismo e del postfemminismo, a tal punto che la frattura epistemologica e politica tra i femminismi nati negli anni Settanta e il femminismo e il postfemminismo queer degli anni Novanta si fa meno sentire che altrove. Più esattamente, questa frattura è interrogata, problematizzata, rielaborata nelle direzioni che favoriscono, almeno noi lo speriamo, l’emergere di nuove alleanze politiche e di nuove «leghe» teoriche.

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SCHEDA:

Che cos’è il LEGS. Una collaborazione necessaria

Il LEGS è la prima Unità Mista di Ricerca (UMR) interamente dedicata alle ricerche interdisciplinari nell’ambito degli studi di genere e della sessualità, nata recentemente, nel 2014, grazie alla politica di legittimazione scientifica e di consolidamento istituzionale degli studi di genere condotta da alcuni anni da parte del CNRS (Centro nazionale di Ricerca Scientifica).
L’esperimento ormai consolidato nell’università francese è attualmente il solo a far collaborare studi d’arte, studi umanistici, scienze umane e sociali.
Dopo l’inaugurazione del seminario dedicato alla relazione tra femminismo e biopolitica da parte di Marta Sagarra e Eric Fassin seguita dall’incontro con Jemina Repo, i prossimi appuntamenti saranno quelli dell’8 aprile con Delphine Gardey, docente di Histoire et genre all’Université de Genève. Il 13 maggio con la filosofa Rosi Braidotti, dell’Université d’Utrecht. In conclusione, il 3 giugno, l’incontro con Penelope Deutscher, docente di Philosophie et théorie féministe alla Northwestern University.
Per informazioni: legs@cnrs.fr