Il 20 novembre scorso si è svolto a Gaza il primo torneo palestinese di pugilato femminile. Captain Osama Ayob è sia l’allenatore che il fondatore di una realtà che conta oggi quasi una cinquantina di atlete.

Osama Ayob, com’è andato il campionato?

Tenuto conto che era la prima volta in Palestina è stato un grande successo. Per favorire il pubblico, parenti e sostenitori, abbiamo deciso di fissarlo di venerdì in modo che fosse più facile per loro partecipare. Dopo un anno di allenamento all’Olympic Boxing Center, era necessario mettere alla prova le ragazze che erano molto entusiaste di potere salire finalmente sul ring.

Quando è nato il progetto di creare una squadra di pugilato femminile?

Durante un viaggio in Algeria, lì mi è capitato di assistere a prove di boxe femminile. L’idea mi è subito piaciuta. Dopo l’Algeria ho visitato il Libano e l’Egitto dove ho visto pugili donne di un livello molto alto.

Spesso si pensa che gli sport da combattimento non siano una questione per donne…

Qui molte persone pensano la pensano così, il che è dal mio punto di vista sbagliato. Le donne possono praticare professionalmente qualsiasi sport e io ho fatto del mio meglio per contribuire a cambiare questa mentalità.

Come ha affrontato la diffidenza?

Per farlo abbiamo deciso di allenarci non solo in palestra ma anche negli spazi pubblici: spiagge, parchi o strade. Tutto questo per mostrare la bellezza della forza delle donne che fanno pugilato. Vedendoci molte persone da diffidenti sono diventate sostenitrici.

Spesso le famiglie sono preoccupate di vedere le proprie figlie combattere.

Non posso negare che all’inizio qualche timore ci sia stato. Colpire ed essere colpiti preoccupa. Dopodiché messi di fronte a un processo di trasformazione molto positivo anche i genitori sono diventati dei grandi supporter delle loro figlie.

Alla fine si tratta di far male e di farsi male?

Si deve imparare a come lanciare un colpo, ma anche a proteggersi, schivare ed evitare di essere colpite. Quello che è importante non è solo la tecnica ma imparare sia mentalmente che fisicamente la logica del gioco. Dopo un anno di allenamenti le atlete hanno preso coscienza di come si devono relazionare con le altre avversarie e che questo rapporto non consiste soltanto nel fare male.

Come reagiscono le atlete quando sono colpite?

Le mie ragazze non mollano mai, anche quando sono colpite. Se una ragazza prende un pugno, lo restituisce ancora più forte. Nonostante sappiano come devono proteggersi non c’è modo di non prendere pugni durante il combattimento, ma questo fa sì che loro reagiscano con ancora più tenacia.

Dicevi che grazie al pugilato anche il carattere delle atlete è cambiato, in che modo?

All’inizio le ragazze erano timide e in qualche caso con personalità deboli. Erano timorose ed esitanti, specialmente quando parliamo di persone che provengono da una società patriarcale, dove una donna con forte personalità è vista come qualche cosa di negativo. Nel corso dei mesi ho visto il loro atteggiamento cambiare, diventare più coraggiose, di mentalità aperta e molto più schiette.

Esistono differenze tra uomini e donne nel modo di affrontare il pugilato?

Essere dei buoni pugili non dipende dal genere, ha più a che vedere con l’età, forma fisica, struttura muscolare ed esperienza negli sport. L’uomo tende ad essere più violento, ma il pugilato è molto di più che mera violenza.

Qual è il tuo sogno più grande?

Ho molti sogni rispetto a questo sport. Ho iniziato a realizzarli quando ho fondato la prima squadra di donne pugili in Palestina. Ora vorrei continuare con gli allenamenti, fare diventare le ragazze ancora più brave così da potere affrontare tornei interazionali. E poi mi piacerebbe potere migliorare come allenatore, con un corso professionale in un paese europeo.

È facile trovare le risorse necessarie?

Sto cercando qualcuno che possa aiutarci a trovare i fondi per potere partecipare ai prossimi campionati in Kuwait, ma è difficile per il blocco che stiamo subendo. Data la situazione economica non è facile, ci vorrebbe uno sponsor. Anche perché queste ragazze vengono da famiglie povere che non possono permettersi le spese di viaggio.

Il pugilato è solo uno sport o è anche politica?

Nonostante la dura situazione politica che stiamo affrontando, il blocco dei confini, le restrizioni di movimento, la cultura e una mentalità conservatrice della nostra società, ce l’abbiamo fatta. Oltre alla difficile situazione economica e altre mille difficoltà che altri considererebbero impossibili da superare, ce l’abbiamo fatta. E continueremo a combattere tutti i giorni per mantenere viva la nostra squadra.

Il pugilato è violenza, ma anche amicizia e solidarietà, qual è l’equilibrio tra queste componenti molto differenti tra di loro?

Le ragazze che io alleno sono tutte amiche tra di loro, vivono tutte vicine l’una all’altra, giocano insieme e alcune di loro sono compagne di scuola. Ma quando ci sono i combattimenti, dobbiamo essere professionali e fare del nostro meglio per vincere. Perché sfortunatamente, alla fine ci sono vincitori e vinti.