Si conclude oggi a Cancun, in Messico, la 47ma Assemblea generale dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) sul tema «Rafforzare il dialogo e la concertazione per la prosperità». In primo piano, alcune questioni problematiche per l’organismo basato a Washington che per alcuni paesi è tornato ad essere «il ministero delle colonie», come lo definì Fidel Castro dopo l’espulsione del suo paese, nel 1962. A luglio del 2009, in un contesto favorevole a una nuova integrazione latinoamericana intenzionata a trasformare dall’interno le istituzioni internazionali, Cuba è stata riammessa, ma ha preferito non rientrare.

Anche il Venezuela di Nicolas Maduro ha deciso di abbandonare l’organismo, ma la procedura durerà un paio d’anni. L’Osa – dice Caracas – si dimostra ancora «ministero delle colonie» sotto la direzione di Luis Almagro, che continua a tenere il fucile puntato sul Venezuela e chiede le venga applicata la Carta democratica e un trattamento analogo a quello riservato a Cuba dagli Usa.

Del blocco economico all’Avana che permane e che è stato riattizzato dopo il ritorno indietro di Trump rispetto alle «aperture» di Obama, si è discusso nell’organismo. Centrale, soprattutto, la crisi politica in Venezuela che Almagro e i paesi neoliberisti vorrebbero risolvere a favore delle destre, disarcionando Maduro dalla presidenza prima del 2018. Una risoluzione contro Caracas non ha però trovato il consenso dei 2/3 necessari nella riunione dei ministri degli Esteri. «Potrebbero però esserci delle sorprese», hanno annunciato i deputati di opposizione che si sono recati a Cancun, animando tensioni e scontri. Trump ha rilasciato dichiarazioni bellicose, preannunciando nuove sanzioni al Venezuela e limitazioni finanziarie: fino al blocco delle importazioni di petrolio da Caracas.

Per questo, era previsto l’arrivo del segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ex direttore esecutivo della Exxon Mobil, che ha un contenzioso aperto con Caracas dai tempi delle nazionalizzazioni di Hugo Chavez. Tillerson, però, non si è fatto vedere e al momento per noi di andare in stampa le previste bordate contro Caracas non erano ancora state sparate. La ministra venezuelana Delcy Rodriguez ha dichiarato di non riconoscere nessuna risoluzione dell’Osa, di voler impiegare le energie nella Comunità degli Stati americani e caraibici (Celac) e ha abbandonato l’Assemblea. Prima, però, ha incontrato i famigliari dei 43 studenti scomparsi ad Ayotzinapa il 26 settembre del 2014, stretti tra cordoni di polizia. Rodriguez ha presentato «10 progetti a favore dei popoli», uno dei quali in solidarietà al caso dei 43 normalistas, «un crimine di Stato» tutt’ora irrisolto.

E mentre il Messico animava la risoluzione contro Caracas, veniva scoperta un’altra fossa comune e scoppiava lo scandalo – rivelato dal New York Times – secondo il quale il presidente Henrique Peña Nieto avrebbe fatto spiare gli avvocati dei 43, giornalisti e difensori dei diritti umani. Intanto, in Venezuela continuano le manifestazioni di opposti schieramenti. L’ex presidente spagnolo Zapatero, che guida la squadra dei mediatori, ha invitato gli Usa a disinnescare le tensioni. L’opposizione, però, rifiuta il dialogo, i morti aumentano e anche i sequestri di armi ed esplosivi.

I «guarimberos» sembrano ormai fuori controllo. Mandano a fuoco istituzioni pubbliche, bruciano i camion per il trasporto di alimenti e medicine. Due poliziotti sono stati arrestati con l’accusa di aver sparato a un manifestante. Dalla targa della moto, è stato identificato uno degli autori dell’assassinio di Orlando Figuera, il ventunenne afrovenezuelano bruciato vivo dagli oltranzisti: si tratta dell’italiano Enzo Franchini Oliveiros, latitante.