Non basterà il ritiro della riforma del sistema previdenziale, annunciato domenica dal presidente Ortega dopo l’ondata di proteste in cui sono morte oltre 25 persone, a placare la tensione nel Paese.
Dal controverso contenuto della riforma, a cui il governo aveva messo mano nel tentativo di evitare la bancarotta dell’Istituto per la previdenza sociale, imponendo una tassa del 5% sulle pensioni e un aumento dei contributi per lavoratori e datori di lavoro, le polemiche si spostano ora sulla pesante repressione dei manifestanti, in gran parte studenti universitari, a detta del presidente infiltrati da gruppi criminali e manipolati da una minoranza impegnata a destabilizzare il governo.

UN INTERVENTO, quello delle forze di sicurezza, considerato da molti spropositato, ma a cui Ortega ha evitato di far riferimento nel suo messaggio alla nazione, limitandosi a esprimere «solidarietà ai familiari delle vittime» e a esortare «il popolo nicaraguense a cessare gli atti di violenza».
Ringraziando papa Francesco per il suo invito a mettere fine a ogni violenza e a risolvere le questioni aperte «pacificamente e con senso di responsabilità», il presidente ha dichiarato che «il dialogo è fondamentale per risolvere ogni conflitto», invitando i rappresentanti del mondo imprenditoriale a elaborare, con la mediazione del cardinal Leopoldo Brenes, «una proposta in grado di garantire il rafforzamento della previdenza sociale a lungo termine».

AL TENTATIVO di destabilizzazione da parte della destra gridano le forze filo-sandiniste, riconducendolo alla preoccupazione degli Stati uniti e dei settori alleati riguardo al progetto di costruzione in Nicaragua del Grande Canale interoceanico, affidato dal governo Ortega all’impresa cinese Hknd del magnate Wang Jing.

Un’opera faraonica, dal costo previsto di 50 miliardi di dollari, che taglierebbe il Paese a metà, spezzando la continuità ecosistemica del corridoio biologico mesoamericano: un canale di navigazione di 278 chilometri (contro i 77 del canale di Panama) che attraverserebbe non solo vaste aree ora ricoperte di foresta vergine ma anche, per oltre 100 chilometri, la maggiore riserva di acqua potabile del Centroamerica, il lago Nicaragua o Cocibolca, distruggendo migliaia di chilometri quadrati di boschi e di zone umide.

UN PROGETTO MONUMENTALE, definito da alcuni ambizioso fino al ridicolo e probabilmente irrealizzabile, per il quale il governo ha rilasciato una concessione cinquantennale, rinnovabile per altri cinquant’anni, all’impresa cinese, a cui sono stati riconosciuti tutti i diritti – in termini di permessi e autorizzazioni – e nessuna responsabilità amministrativa, civile o penale. E tutto ciò in cambio dell’1% annuo delle azioni, in attesa di disporre del controllo completo dell’opera dopo cent’anni.
Ma non è solo la follia del canale interoceanico a dividere ampi settori di sinistra dal leader storico del Frente sandinista de liberación nacional, un tempo acclamato come liberatore del Nicaragua dalla dittatura di Anastasio Somoza e poi via via accusato di tradire tutti i principi del Fsln, pur di riconquistare il potere e di conservarlo. Fino a sacrificare sull’altare elettorale le donne nicaraguensi, votando a favore dell’eliminazione dell’aborto terapeutico e fino a promuovere, al di là dei programmi sociali destinati alle fasce più povere, un modello economico che favorisce fondamentalmente il grande capitale, in base a uno schema di investimenti stranieri diretti basati sull’industria maquiladora.

NON A CASO, spetta proprio al Nicaragua il triste record del salario minimo più basso di tutto il Centroamerica.