«La creatività è un uso finalizzato della fantasia», affermava Bruno Munari al cui pensiero e opera s’ispirano anche Ornaghi & Prestinari nel tradurre l’immaginazione in creatività sempre con un pizzico di giocosità, leggerezza e ironia. Per la loro prima mostra personale romana dal titolo Toccante, nello spazio della galleria Continua al The St. Regis Rome (fino al 17 aprile), il duo artistico Valentina Ornaghi (Milano 1986) e Claudio Prestinari (Milano 1984), autori anche della scultura Filemone e Bauci (2017) per il parco milanese ArtLine di CityLife – lavorano insieme dal 2009, dopo aver studiato disegno industriale (lei) e architettura (lui) al Politecnico di Milano e aver frequentato lo IUAV a Venezia – ha realizzato un corpus di nuove opere con materiali differenti (dalla fotografia al cristallo, dalla ceramica al marmo) intorno al tema dell’incontro. Una riflessione che nell’attuale scenario di isolamento indaga il concetto di quotidianità, equilibrio, intimità, trasformazione con uno sguardo trasversale sempre partecipe e condivisibile.

«Sentimento» è la prima opera che lo sguardo del visitatore intercetta entrando nello spazio espositivo, una fotografia-manifesto…
Valentina – È una fotografia che abbiamo scattato sul lago Maggiore, poco prima del secondo lockdown. Un paesaggio che per noi è molto familiare. Recentemente abbiamo preso la residenza a Luino trasferendoci qui, in provincia Varese, mantenendo però lo studio a Rho. «Sentimento» è il nome di questo chiosco dove i giovani si riuniscono nella stagione estiva, ma che d’inverno rimane chiuso. La sensazione di malinconia del luogo ci ha suggestionato e l’abbiamo letta in un modo diverso, perché proprio il giorno in cui è stata annunciata la chiusura ci trovavamo lì.

Ornaghi & Prestinari, «Ritrovarsi», 2020 – ceramica e lustro

 

Anche la fotografia è un linguaggio che vi appartiene in quanto artisti multidisciplinari?
Claudio – A volte ci capita anche di usare la fotografia. In questo caso è stato uno scatto casuale, proprio nel momento in cui stavamo cominciando a pensare alla mostra. 

Valentina – Rispecchia anche un momento, un’atmosfera, una sensazione che era un po’ quella che volevamo restituire attraverso questa mostra. Non solo la malinconia. C’è anche il desiderio di avvicinamento, incontro, relazione che affrontiamo negli altri lavori.

Claudio – Tutta la mostra, infatti, ruota intorno al tema del toccare fisico ed emotivo, ecco perché il titolo è Toccante.  

Valentina – Sì è un sentirsi toccati emotivamente dall’immagine.

Claudio – Un toccare senza il contatto fisico. Da questa considerazione è nata anche la riflessione relativa al pensiero e al pesare, perché l’etimologia latina della parola pensare è pesare. Il pensiero soppesa e può farsi pesante. In Toccante tutte le opere giocano un po’ con questa sensazione di peso che sorregge e allo stesso tempo equilibra. Nel dittico Sfiorare è il peso stesso dei quadri, appesi con un unico chiodo in posizione baricentrica, che li porta ad inclinarsi l’uno verso l’altro quindi anche a toccarsi o meglio sfiorarsi. Invece in Appendinarmi è l’equilibrio che si genera tra due lastre di marmo che vengono appese sullo stesso supporto con due elementi, uno che unisce e l’altro che separata. Il disegno stesso dell’opera nasce dal peso degli elementi.

Valentina – Un peso che suggerisce anche leggerezza. In Rintocco, invece, l’opera si anima e i due calici di cristallo si avvicinano arrivando a toccarsi. Si sente anche il suono dell’incontro.

Claudio – È una scansione temporale all’interno della mostra.

Valentina – C’è anche un’attesa.

Claudio Prestinari e Valentina Ornaghi (ph Manuela De Leonardis)


Dualità come leggerezza/pesantezza sono un filo conduttore del vostro lavoro. Come sviluppate i vostri progetti mantenendo anche la reciproca individualità?
Valentina – Siamo una coppia anche nella vita e la parte di quotidianità condivisa diventa uno stimolo. Il lavoro si articola in un dialogo costante – molti dialoghi nascono camminando – insieme alla condivisione di letture e riflessioni.

Claudio – Il lavoro è venuto dopo. È iniziato tutto ormai 11/12 anni fa da un dialogo che continua tuttora, scambi di idee, suggestioni, pensieri.

Valentina – In realtà è tutto molto rizomico. Non c’è una linearità, anche se a posteriori sembra tutto molto chiaro e in successione. All’inizio c’è tanto scambio di appunti, ricerca interiore anche di ciascuno con se stesso per capire cosa ci interessi davvero e quale sia la direzione da prendere. In questo caso la mostra è volutamente molto intima. In altre situazioni, quando gli stimoli arrivano dall’esterno, attraverso il rapporto con curatori o artigiani, anche la nostra metodologia si amplia.

Claudio – È molto arricchente per noi, così come per le altre persone che vengono coinvolte.

Valentina – È anche un modo per uscire dal nostro studio, dalla nostra visione. Ci interessano molto le tecniche, i processi produttivi dell’oggetto in sé, progettazione, mondo produttivo, tutto ciò che concerne la cultura materiale. Ci affascina lo sguardo di chi la pratica professionalmente. 

Come si stabilisce il vostro rapporto e poi il dialogo con le maestranze?Valentina – Molto spesso siamo invitati, quindi c’è già un entusiasmo di chi ci invita e questo favorisce molto il dialogo. Generalmente cerchiamo di entrare un po’ in punta di piedi per capire anche quali sono le problematiche di un dato contesto. Abbiamo lavorato, ad esempio, con il distretto conciario di Santa Croce sull’Arno dove c’è tanta produttività ma anche il problema ambientale. In quel caso siamo stati invitati a rileggere il territorio da un punto di vista che non fosse solo quello negativo, ma potesse offrire nuove possibilità attraverso l’arte. A Faenza, invece, nel 2017 siamo stati vincitori della residenza di sei mesi, promossa da Museo Carlo Zauli e Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, per imparare ad utilizzare le tecniche ceramiche. 

L’analisi dell’oggetto, come vediamo nelle opere della serie «Ritrovarsi», implica anche una riflessione sul concetto di bellezza/imperfezione…Claudio – Queste opere, grandi piatti in ceramica smaltata, nascono dall’idea del piccolo vaso che abbiamo realizzato nell’ambito della mostra al MIC di Faenza a conclusione della residenza. In quel caso si trattava dei frammenti, centinaia di migliaia di pezzi, che si conservano ancora nei magazzini del museo distrutto dai bombardamenti nel 1944. Per questa mostra abbiamo voluto fare dei piatti con l’idea della condivisione propria di questi oggetti, soprattutto nella cultura orientale dove si mangia tutti insieme dalla stessa ciotola.

Terracotta e oro: un altro gioco dialettico tra preziosità ed essenzialità…Valentina – Sì è voluto in questo senso. La terracotta è un materiale arcaico, però ci interessava questo contrasto con l’oro come arricchimento rispetto alla frattura.

Claudio – L’oro ha anche un’idea alchemica al suo interno. Il processo è ancora più evidente nel pezzo con la ceramica a lustro che abbiamo realizzato presso la nota bottega Gatti di Faenza con la loro ricetta preziosissima. 

Valentina – C’è anche l’imprevedibilità della trasformazione.

Claudio – Esatto. La bellezza di questa tecnica è quella di esaltare l’imprevedibilità della cottura in forno. Questi piatti già nascono dalla casualità della rottura e poi dal successivo riassemblaggio. Ma, per quanto tutte le volte che li rompiamo cerchiamo di capire in che modo romperli, c’è sempre un elemento che sfugge alla possibilità di totale controllo. Tutte le volte rimaniamo sorpresi da come il risultato finale assuma una forma diversa. Una parte dei pezzi, poi, fa delle cotture in più, mentre un’altra parte rimane in studio da noi. Solo dopo questo processo i pezzi vengono via via riassemblati.

Valentina – Per un certo periodo i pezzi hanno due vite differenti per poi ritrovarsi, come suggerisce il titolo.