Dove è finito il bolivarismo di Podemos? Di fronte al precipitare del dramma venezuelano è la domanda che spesso, strumentalmente, molti commentatori politici rivolgono ai dirigenti del partito morado. Già nella campagna elettorale spagnola del dicembre 2015 e in quella del giugno 2016, il bolivarismo fu il principale argomento usato dalle destre, in particolare da Ciudadanos, per attaccare Podemos alle prese con il caso Monedero, uno dei fondatori del movimento accusato di non avere denuncniato i proventi delle sue collaborazioni venezuelane – accuse dalle quali è stato assolto.

Ma al di là delle intenzioni strumentali e della propaganda politica è molto difficile, per Iglesias e compagne/i, evitare di interrogarsi su ciò che sta succedendo in Venezuela, più in generale in America latina. È infatti noto che Podemos affonda le proprie radici culturali proprio nelle esperienze che, agli inizi del nuovo millennio, si produssero nei social forum di Porto Alegre, cioè in quel grande movimento di massa che si oppose al modello di globalizzazione ad egemonia liberista, contrapponendovi l’idea di un mondo capace di rendere universali i diritti, lo stato e la giustizia sociale e un’economia delle persone, con al centro la tutela dell’ambiente e la valorizzazione dei beni comuni.

Quelle suggestioni alimentarono un vento di cambiamenti radicali in quasi tutta l’America Latina, a cominciare dal Brasile di Lula passando per la Bolivia e l’Uruguay di Evo Morales e Pepe Mujica, per finire alla più controversa rivoluzione bolivariana di Chavez in Venezuela. È in questo magma rivoluzionario che si formano gran parte dei fondatori di Podemos. Fin dal 2006 gran parte di essi, da Monedero ad Errejon passando per Carolina Bescansa ed Iglesias furono protagonisti nel Ceps (centro studi politico sociali) che partecipò alla definizione della riforma costituzionale di Chavez, ma soprattutto lavorò per costruire un ponte fra esperienze emancipatorie dell’America latina e promozione di politiche antiliberiste e di sinistra in Spagna e in Europa.

Non a caso quindi l’ esperienza del movimento degli Indignados del 2011, si sviluppò su molte delle suggestioni che venivano da quelle esperienze, così come spiega anche perché quel movimento abbia prodotto una forza originale come Podemos. Per ora invece a prevalere è il basso profilo se non addirittura un certo imbarazzo.

Niente di più che qualche articolo di Monedero teso a confutare le numerose falsità con cui spesso la stampa spagnola racconta la tragedia venezuelana o il sostegno convinto, espresso dalla stesso Iglesias, al tentativo di mediazione realizzato da Zapatero. L’incalzare degli avvenimenti purtroppo non tarderà a mettere in difficoltà questa scelta di basso profilo, obbligando Podemos a prendere una posizione più netta. È evidente che non basta più solo difendere Maduro e il suo tentativo di nuova Assemblea costituente. È necessario prendere atto che oggi il bolivarismo e le straordinarie esperienze che animarono i vari social forum mondiali, rischiano l’esaurimento e da elemento propulsivo di movimenti, come quello degli indignados, possono trasformarsi in un freno al loro sviluppo.

Contemporaneamente però lo sgretolarsi delle esperienze latino americane sta spingendo il mondo verso scenari drammatici, di cui il fenomeno migratorio, il cambio climatico e il riarmo generalizzato sono le manifestazioni più evidenti, scenari che l’egemonia liberista renderà ancora più tragici. Interrogarsi quindi su dove sia finito il bolivarismo di Podemos è un tentativo di definire risposte nuove per ridare forza e strumenti allo slogan che era alla base dei social forum di Porto Alegre: un mondo diverso è possibile.

E questo vale ed è necessario anche per Maduro. Il dramma che ogni giorno si consuma in Venezuela obbliga tutte le forze che a quello slogan si ispirano, a cominciare da Podemos, a uscire dal piccolo cabotaggio e a riprovarci, per evitare che ancora una volta ci si apra una voragine sotto i piedi.