A Palermo vince l’astensionismo. Il partito del non voto raggiunge il 47%, sintomo di una sfiducia crescente nei confronti di una politica che arranca, con i partiti che hanno abdicato rinunciando persino ai simboli, mentre la città deve fare i conti con problemi atavici: dall’immondizia ai trasporti, dalla marginalizzazione delle periferie al degrado del centro.

Leoluca Orlando, il grande trionfatore, vince grazie ai voti del 20% degli elettori. Un risultato che comunque gli affida per la quinta volta le chiavi del municipio della quinta città d’Italia, intrappolata nelle sue contraddizioni e vogliosa di fare quel salto di qualità che rimane una speranza, verso cui però mezza città non ha più fiducia. Orlando trionfa a 70 anni (li compirà l’1 agosto), strapazzando i suoi avversari, come quando, a 38 anni, sfidava dentro la Dc la corrente degli andreottiani, conquistando la poltrona di sindaco, era il 1985, in una Palermo cupa e insanguinata dai morti ammazzati per mafia. L’età anagrafica per il «professore» sembra un orpello. Lui che «il sindaco lo sa fare» e «guarda avanti», sono i suoi slogan, stravince al primo turno col 46% (in Sicilia il quorum è al 40%), staccando di 15 punti il suo ex pupillo Fabrizio Ferrandelli, che paga probabilmente per l’avviso di garanzia (è indagato per voto di scambio politico-mafioso) ma soprattutto per il sostegno del centrodestra, con Fi e i cuffariani che avevano puntato sul bancario per rimettere le mani sulla città che Diego Cammarata aveva lasciato sommersa dalle macerie di scandali e malagestione.

Magro il risultato del terzo competitor, Ugo Forello. Il candidato M5S, prima lista in città, si ferma al 16% circa, ben al di sotto delle aspettative di un movimento lacerato dall’inchiesta «firme false». Il distacco con Orlando è abissale: 30 punti.

Il professore conquista la maggioranza nel consiglio comunale, lasciando agli avversari le briciole. E imponendosi ancora una volta come l’unico in grado di potere amministrare una città che sembra immobile e incapace di coinvolgere le nuove generazioni. Orlando trionfa con il medesimo consenso ottenuto al primo turno 5 anni fa, quando poi al ballottaggio sconfisse sempre Ferrandelli. A quel ‘nocciolo duro’ di sinistra che gli sta vicino da anni, Orlando, questo è il suo capolavoro politico, ha aggregato avversari d’un tempo, come il Pd che pur di sostenerlo ha rinunciato al simbolo, ex esponenti di centrodestra, centristi e moderati. Una sorta di grosse koalition, preludio a un nuovo patto per le regionali di autunno. Il sottosegretario Davide Faraone (Pd), tra gli artefici dell’accordo col «professore», non ha dubbi: «Squadra che vince non si cambia. Missione impossibile sembrava ai più quella di mettere insieme tante storie diverse. Alla fine ci siamo riusciti». Il nome in ballo per la Regione è quello di Piero Grasso, gradito nel Pd ma anche dalla sinistra e da Mdp: il presidente del Senato non s’è ancora espresso ma senza garanzie e controllo su candidati e progetto, sussurrano fonti a lui vicine, non prenderebbe neppure in considerazione l’ipotesi. Al. Mar.