Andrea Orlando (Pd), per il presidente Conte bisogna «ripensare il capitalismo». Non citava Marx ma un guru del marketing. Ma non è una frase che avreste dovuto pronunciare voi in parlamento?

Sì. Dovevamo dirlo noi. Oggi il tema della ripartenza della sinistra è fare i conti con le distorsioni del capitalismo e con il suo impatto sulla democrazia rappresentativa. Va chiuso un ciclo di trent’anni nel quale ha prevalso la lettura ottimistica. Quanto a Conte, ripensare il capitalismo significa introdurre la flat tax? Pensano di combattere il capitalismo globale con il nazionalismo? E con il ministro economico berlusconiano? Aria fritta.

Tria è uomo di Berlusconi?

Chapeau: ha piazzato l’estensore del suo programma economico nel ministero chiave del governo.

Da ex ministro della giustizia, che pensa dei cori da stadio al senato, «fuori la mafia dallo stato»?

Un errore capitale. L’idea che si possa battere la mafia introducendo delle divisioni è profondamente sbagliata. Ma è tipico dei populismi: governare restando sempre in campagna elettorale, parlando solo ai tuoi. Conte non ha usato toni da capopopolo, ma dividere su un tema così fa fare passi indietro al paese e alla lotta alla mafia.

Conti è il capo del governo?

Alla partenza ha recepito le indicazioni di altri. Fino a qui il capo della coalizione è stato Salvini. Ma aspettiamo.

Torniamo ai populismi. È l’idea di «ora lo stato siamo noi»?

Il populismo, termine con cui definiamo cose diverse, ha il tratto comune di alzare le aspettative e poi, per nascondere il fallimento, provare a individuare dei nemici. Fondare due nazioni in uno stesso stato, dare la colpa all’altra. Colpa di una categoria di stranieri in patria, accanto agli stranieri. Lo hanno fatto Trump e Orban.

Anche ai «gufi» e «rosiconi»?

Non sono espressioni felici, sono stato critico con Renzi, ma non mi sembra paragonabile.

Conte ha indicato un fronte sociale seducente, almeno nei titoli: salario orario, soldi nelle pensioni, reddito di cittadinanza, diritti del lavoro. Farete opposizione a questo?
Questo governo evoca obiettivi sociali che non si realizzeranno datele compatibilità economiche. Questo lo farà ripiegare su elementi simbolici e divisivi come immigrazione e legittima difesa: una cortina fumogena per non fare vedere che gli obiettivi sociali non si realizzano. In ogni caso noi dobbiamo incalzarli sul ’come’, non sul ’se’. Che ci sia bisogno di interventi sociali che realizzino più eguaglianza e più equità è scontato.

Finora eravate voi al governo.

Abbiamo fatto quello che le compatibilità ci hanno consentito. Si può discutere se le risorse potevano essere utilizzate meglio. Ma la bancarotta la pagherebbero i poveri.

Fin qui il Pd ha provato a allestire un fronte repubblicano, senza però gran successo.

La difesa di un’istituzione non è un programma politico né il monopolio di una parte. Era doverosa una reazione forte all’aggressione verso il presidente Mattarella. Dopodiché in tutto l’occidente è in corso una rivolta contro le élite, accusate di inadeguatezza ad affrontare la globalizzazione. O a questa rivolta diamo uno sbocco democratico o rischiamo una torsione illiberale. Il frontale rischia di creare un derby fra popolo e élite. Alla cui fine non c’è nulla di buono. Si tratta di ricostruire un’interlocuzione con i soggetti sociali. Oltre A forme di partecipazione che non passino solo attraverso i corpi intermedi.

Tema per un ministro alla democrazia diretta?

Quella è una mistificazione. Il tema è come si ricostruisce una democrazia deliberativa e partecipativa che integri la democrazia rappresentativa senza la pretesa di sostituirla. Parlo una cosa diversa dal comitatismo. È stato appena varato il regolamento sul dibattito pubblico sulle grandi opere. Spero che lo usino.

Il Pd non ha un buon rapporto con i comitati. E con i territori.

Non è un problema solo del Pd. Dopodiché il Pd rischia di essere un partito classista, ma in un’accezione opposta a quella della sinistra tradizionale: rappresentiamo quelli che ce l’hanno fatta. Bisogna ripensare l’organizzazione. I contenuti: tornare in periferia senza cambiare le parole d’ordine non serve. E la classe dirigente: recuperando un rapporto con gli intellettuali, abbiamo bisogno di capire, di orientare le trasformazioni, non solo rappresentare l’esistente.

È il Pd che propone per il prossimo congresso?

Una competizione interna che non sciogliesse questi nodi sarebbe effimera. Il Labour post Blair è ripartito su questa riflessione, i democratici americani anche. La crisi della sinistra europea dovrebbe produrre una riflessione, non una rimozione. È il momento anche di studiare: più uffici studio e meno uffici stampa. In una società dove il lavoro non sarà più un elemento di massa, e in alcuni casi neanche di inclusione sociale, dobbiamo trovare una proposta per fare un salto di qualità.

Nicola Zingaretti incarna questa proposta?

Ha i requisiti di partenza. Ma dobbiamo metterci tutti alla prova sul campo. Vediamo che impostazione darà. Non basterà un patto di sindacato interno. Serve dare un messaggio alla società: abbiamo capito e cambiamo strada.

Di centrosinistra lei non parla neanche?

Ne parleremo dopo. Intanto dovremmo riflettere se esiste ancora un centro. Il nuovo centrosinistra deve ripensarsi, non può essere la convergenza di quello che c’era. Tutti si devono rimettere in discussione. Ripeto: dobbiamo chiudere un ciclo che è durato trent’anni, non i quattro di Renzi.
I complimenti di Salvini a Minniti non la imbarazzano?

No, Minniti è stato un buon ministro, è ridicolo non riconoscerlo. Il problema semmai è culturale e non riguarda solo Minniti.
È ridicolo ritenere che il regolamento delle Ong sia arrivato a valle di una ingiusta criminalizzazione delle Ong, peraltro ancora mai provata dalla magistratura che pure la agitava?

Il regolamento non criminalizza le Ong. E quando c’era da difendere le Ong l’ho fatto. Ma non si può mettere tutto sul conto di Minniti: da anni di fronte all’insofferenza verso i migranti la sinistra ha smobilitato le resistenze culturali e anche di civiltà. La destra ha offerto capri espiatori al malessere, la sinistra del globalismo ottimista l’ha assecondata non l’ha saputa contrasta e talvolta l’ha inseguita subendone l’egemonia culturale.