Il tabloid britannico The Sun ha titolato ieri: «America’s Bataclan». La maggior parte dei giornali in Francia, ha però cercato di sottolineare la fragile frontiera che sussiste tra eccidio di massa e terrorismo, tra Orlando e il Bataclan: «Questa gente non è stata uccisa per ciò che faceva ma per ciò che era o ciò che si supponeva fosse», riassume Le Monde, che evoca un «odio ben specifico», che «non dipende dalla sola follia assassina islamista».

L’attentato di Orlando ha riportato la Francia al dramma di solo qualche mese fa.

Hollande è stato tra i primi a reagire, ha condannato «con orrore» l’eccidio, poi si è recato con il primo ministro all’ambasciata Usa, dove ha affermato che ad «essere colpita è la libertà, la libertà di scegliere l’orientamento sessuale, il proprio modo di vita». La Tour Eiffel è stata illuminata con i colori arcobaleno, in omaggio alla comunità gay colpita.

Mrs.Pesc, Federica Mogherini, ha parlato di «tragedia non soltanto per il popolo americano, ma per il mondo intero». Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha espresso anch’egli solidarietà alla «comunità Lgbt e al popolo americano».

Il criminologo Michael Dantinne dell’Università di Liegi, ha affermato su France Info che «la frontiera tra assassinio di massa e terrorismo è molto sottile», come illustra il caso di Breivik in Norvegia, ed è quindi «molto complicato fare la differenza tra rivendicazione e preparazione».

Orlando mostra una volta di più come sia «facile» realizzare un eccidio di massa. Negli Usa, secondo Dantinne, c’è anche un «terreno potenziale di estrema destra», che può favorire «una radicalizzazione anche senza essere islamisti o essere andati su un terreno di guerra», come è successo invece in Europa per i responsabili degli attentati di Parigi (ma non quelli di Bruxelles).

Nel caso di queste due serie di attentati, c’era un’organizzazione complessa, una preparazione che era durata a lungo. Dopo Orlando, la rivendicazione di Daesh mostra un «adattamento» dello Stato islamico, che approfitta dei casi di auto-radicalizzazione.

Di fenomeno di «adattamento del modo operativo» di Daesh parla lo specialista Mathieu Guidère, un’organizzazione che non essendo «più in grado di formare dei combattenti da inviare come è stato il caso del commando del Bataclan», sfrutta i casi di auto-radicalizzazione.

Del resto, Daesh ha da tempo teorizzato questo modo di agire. Già nel 2014, sulla rivista islamista Dabiq, aveva invitato «ogni musulmano» a «uscire di casa, trovare un crociato e ucciderlo. È importante che l’eccidio sia rivendicato a nome dello Stato islamico».

Il massacro di Orlando, se verrà confermata l’ipotesi di un’azione di un lupo solitario, potrebbe rientrare in questa strategia.

Lo Stato islamico mantiene questa confusione tra atto preparato e gesto isolato, da rivendicare in seguito. E’ già successo a San Bernardino, il 2 dicembre scorso, con una auto-radicalizzazione che non aveva avuto bisogno di un appoggio logistico complesso da parte di Daesh, come invece era successo a Parigi e Bruxelles.

Negli Usa, casi di auto-radicalizzazione si sono moltiplicati negli ultimi tempi. Internet svolge un ruolo molto importante, più che in Europa (dove contano di più i contatti personali), ha sottolineato un recente studio del think tank statunitense The Soufran Group, ma negli Usa il terreno è reso più favorevole dall’ampia diffusione di armi e dalla facilità di procurarsele.