Gli ultimi sondaggi che circolano negli ambienti di partito danno Leoluca Orlando vicino al 40%, soglia che gli permetterebbe di vincere le amministrative evitando l’insidia del ballottaggio. Perché in Sicilia, dove l’autonomia per statuto fa a pugni col buon senso, i «figli d’Ercole», modificando, mesi addietro, all’Assemblea siciliana la legge elettorale, hanno tagliato del 10% il tetto d’eleggibilità diretta – unica Regione in Italia – pensando di fregare così quei rompiscatole dei 5stelle, che intanto le scatole se le sono rotte da soli, prendendosi a pesci in faccia un giorno sì e l’altro pure, non facendosi mancare nulla, neppure i corridoi delle aule di Tribunale con la storiaccia delle firme false.

Se i sondaggi fatti in casa fossero confermati dalle urne, il «professore» sarebbe incoronato sindaco per la quinta volta nella sua carriera politica. Un record. Nell’85 entrò a Palazzo delle Aquile che aveva 38 anni. Ad agosto ne compirà settanta. Lui «il sindaco lo sa fare», lo slogan che Orlando si fece fare su misura cinque anni fa. Dietro Palermo aveva le macerie di dieci anni d’amministrazione forzista con Diego Cammarata. Fu una passeggiata, asfaltò il suo ex pupillo

FABRIZIO FERRANDELLI – camminavano a braccetto nell’Idv di Di Pietro –  che pure aveva vinto le primarie del centrosinistra.
Quel tormentone con tanto di manifesti in giro per la città il professore l’ha rispolverato. Con un’avvertenza, però: «Sarà la mia ultima volta, preparerò il mio successore». Già. In verità per lui è l’ultima chance. Non una questione anagrafica, ma è la legge a imporlo. Ecco perché, questa volta chi gli sta attorno può sorridere.

Finalmente l’Orlando furioso per davvero potrebbe allevare il suo alter ego: obiettivo 2022. Però! Perché in quarant’anni il professore, peggio di quei comunisti che mangiano i bambini, ha fatto fuori chiunque avesse minimamente manifestato, non esternato per carità, l’ambizione di fare carriera, magari col sogno di diventare sindaco. Uno per uno i volti che animarono «la Rete», quella della «Primavera» che fece annusare la voglia di riscatto sepolta sotto il sacco edilizio di Lima-Ciancimino, sono scomparsi dalla scena.

Chi ha resistito, nelle retrovie e nei retro-bottega s’è riciclato senza troppi rossori: a destra, a sinistra e pure al centro. Adesso Orlando è, ancora una volta, il salvatore della sinistra. E pure del Pd. Con un tratto di penna i dem hanno abdicato al ruolo di oppositori del sindaco – ricoperto fino a 5 mesi fa per oltre 4 anni – stringendo col  professore un patto di sangue.

A VOLERLO È STATO Renzi. Non potendo esprimere un proprio candidato per i perenni dissidi dei dirigenti ‘poltronisti’, la scelta è stata ovvia: consegnarsi a chi il sindaco lo sa fare. Accollandosi persino la rinuncia al proprio simbolo, pur di fare parte della squadra. Dove trovano ristoro pure buona parte degli «alfaniani», i «centristi» di Casini e le margheritine dell’ex ministro Totò Cardinale, diventato fedele del sottosegretario Davide Faraone. Tutti insieme appassionatamente in un calderone che raccoglie cocci di forzisti pentiti e riciclati, socialisti e persino «Sinistra comune», il fronte guidato da Sinistra italiana e Rifondazione comunista che mal sopporta la convivenza coi dem. Gli ultimi arrivati sono quelli di Mdp-Art.1, non certo contenti di sostenere il longevo professore, ma di necessità si fa virtù.

La posta in palio è altissima, battere il grande nemico: Fabrizio Ferrandelli, su cui pesa un indagine della Procura per voto di scambio politico mafioso contestato di recente al giovane bancario per la campagna elettorale che fece nel 2012. Si dice Ferrandelli ma si scrive Totò Cuffaro. Da quando è uscito dal carcere, dove ha scontato la condanna definitiva per mafia, l’ex governatore è entrato a gamba tesa nella campagna elettorale. Lo ha fatto in sordina. Ma facendo rumore. Basta osservare i clientes che ogni giorno affollano i bar, come quello di villa Sperlinga, frequentati da «Totò vasa vasa» per capire lo strapotere di un politico passato alla storia anche per i 2 milioni di voti conquistati quando era in auge alla Regione, ora molto amato nei quartieri popolari di Palermo, dove si sta giocando una guerra all’ultimo voto.

È STATO PROPRIO CUFFARO a volere a tutti i costi Ferrandelli, costringendo Forza Italia a seguirlo a ruota, nonostante i maldipancia di Gianfranco Miccichè e di quei dirigenti che aspiravano alla stelletta, come il senatore Francesco Scoma. Con Ferrandelli s’è schierato anche Ciccio Cascio, un pezzo grosso del partito di Alfano a Palermo, che ha abdicato alle ambizioni di fare il sindaco per via di alcune indagini sul suo conto.

Prove di centrodestra che verrà. Fa paura la corazzata cuffariana, un minestrone dove si possono trovare quelli autodeifinitisi «coraggiosi», ex Pd, sinistroidi, gente di destra, ex fascisti. Leggendo i programmi di Orlando e Ferrandelli sembra di sfogliare fotocopie con qualche variante, mentre Palermo deve fare i conti con problemi atavici: traffico, immondizia, imposte comunali alle stelle, disservizi nei trasporti, periferie scollegate col centro, incuria dell’ambiente. Il consenso se lo stanno giocando sulla pedonalizzazione di una piazzetta o sulla chiusura della Favorita, il polmone verde della città anche questo mai utilizzato come si dovrebbe tranne che sotto campagna elettorale. Un po’ poco.

Neppure i 5stelle sono riusciti ad approfittare di questo marasma politico. Anzi, hanno fatto di tutto per darsi la zappa sui piedi. L’inchiesta sulle firme false li ha spaccati, sono seguite sospensioni a Roma e a Palermo dei deputati indagati, querele, colpi bassi con registrazioni «rubate» che hanno tirato in ballo Ugo Forello, l’ex avvocato di Addiopizzo, finito sotto il fuoco amico, cui i «suoi» rimproverano un buonismo mielato, poco grillino nei toni e nei modi. Lo storico meetup «il grillo di Palermo» gli fa la guerra. Tant’è che lo staff milanese ha convinto Beppe Grillo a metterci la faccia.

L’EX COMICO SARÀ OGGI a Palermo, dopo avere fatto tappa a Trapani, per tirare la volata a Forello, dato dai sondaggi fai da te intorno al 20%, contro il 35-38% di Ferrandelli e Orlando. Non uno show dei suoi, però. In città arriverà alle 21. E parlerà allo Zen, una delle tante periferie dove la partita del potere è dura.

Gli outsider sono l’ex Pd Nadia Spallitta, sostenuta dai Verdi; l’ex Iena Ismaele La Vardera appoggiato da Noi con Salvini e da Fratelli d’Italia e Ciro Lomonte dei «Sicilia liberi». Quasi 800 gli aspiranti consiglieri, i posti sono 40. E intanto Palermo piange. Perché, Gattopardo docet, «se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».