Entro fine marzo saranno convocati quattro incontri del tavolo con sindacati e imprese organizzato dal ministro del lavoro Andrea Orlando nella prospettiva di una riforma degli ammortizzatori sociali. Ieri è stato presentato un documento «aperto» che affronta la questione della semplificazione delle procedure attraverso le quali è attivata la cassa integrazione, un problema che ha reso molto complesso l’erogazione dei sussidi in questi mesi di pandemia.

IL GOVERNO INTENDE introdurre «analisi predittive e algoritmi in grado di incrociare ed elaborare indici di rischio e di violazione» nel riconoscimento delle tutele. Controlli che non devono appesantire l’azione degli «operatori economici». Una condizione aggiunta, probabilmente, per non irritare le imprese e ricordare l’uso opportunistico della cassa integrazione richiesta anche da quelle che non erano in crisi per risparmiare sul costo del lavoro. È avvenuto nei primi mesi della pandemia.

IL TRACCIAMENTO algoritmico, si ricorda nel testo, è possibile per il lavoro subordinato e parasubordinato, ma non per quello autonomo al quale, del resto, oggi non sono riconosciute tutele sociali significative. A meno che non siano introdotte dalla riforma rilanciata ieri da Orlando e prevista da una bozza di progetto scritta dalla commissione di esperti voluta dall’ex ministro Catalfo in cui, come abbiamo anticipato su Il Manifesto, si parla di un’estensione delle tutele alle partite Iva iscritte alla gestione separata dell’Inps e a quelle iscritte agli ordini professionali entro i 35 mila euro di reddito lordo annuo. L’argomento sarà affrontato in un incontro della settimana prossima dove si discuterà della platea dei soggetti che dovrebbero essere coinvolti nella riforma. Poi sarà affrontato il nodo della ripartizione dei costi e la gestione di una cassa integrazione trasformata ed estesa.

ORLANDO incontrerà il neo ministro dell’economia, Daniele Franco, per un primo monitoraggio sulle risorse a disposizione della riforma. Alcune stime parlano di un costo pari a 10 miliardi di euro almeno per i primi anni di introduzione della riforma. In seguito, stando alla bozza del progetto, il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali dovrebbe andare a regime secondo gli schemi assicurativi. Infine dovrebbe essere convocato anche un altro incontro con le parti sociali sul prossimo «decreto ristori», il quinto rimasto sospeso a causa della crisi di governo, in particolare sul fallimento del protocollo Abi sull’anticipo forfettario della cassa integrazione da parte delle imprese.

IL DOCUMENTO presentato ieri conferma l’impostazione generale data dal nuovo governo, in continuità con quello precedente, sia sulle nuove prestazioni sociali universali che sulle politiche attive del lavoro, già previste dal cosiddetto «reddito di cittadinanza» ma mai attuate. Il nesso è apparentemente difficile da comprendere in un paese che non ha mai sperimentato, in maniera sistematica, le politiche del «workfare» in Gran Bretagna, Germania o Francia. Da un lato, si vuole razionalizzare un Welfare inadeguato per proteggere le persone che perdono il lavoro; dall’altro lato, si vogliono attivare e ricollocare i precari e gli esclusi dal lavoro in un sistema in cui i ruoli istituzionali sono frammentati tra Stato e regioni; dove gli strumenti di intervento sono pletorici e insufficienti e non esistono (ancora) politiche pubbliche capaci di gestire con le nuove modalità la formazione e il collocamento.

IL WELFARE resta condizionato e non è universale, se non in maniera selettiva. Il progetto in discussione è equilibrare i diritti dei lavoratori a una protezione unica (chiamata «universale») «a prescindere dalla specifica condizione occupazionale» con le esigenze delle imprese che hanno bisogno di «competenze». Raramente la logica sociale e quella capitalista sono conciliabili, per di più in una crisi che cambierà il mercato nei prossimi anni, mentre la crescita resta un punto interrogativo. È su questo che il «Recovery fund» Ue ha scommesso. Anche il governo italiano segue a ruota.