Immaginate di voler mettere su una band. Suonate da molto tempo, scartabellate la vostra rubrica con i contatti dei molti musicisti con cui avete collaborato negli anni. Coinvolgete un caro amico che vive come voi a Bologna , poi pensate a due persone fidate a cui proporre le vostre idee, sicuri della loro esperienza. Bene. È andata così anche per gli Ork, più o meno. Solo che nella rubrica di Lorenzo Esposito Fornasari, detto Lef, tra i musicisti da contattare c’erano Pat Mastellotto, che è batterista nei King Crimson da tempo immemore, e Colin Edwin, bassista dei Porcupine Tree. E l’amico da coinvolgere in questo caso era Carmelo Pipitone, il chitarrista di uno dei gruppi italiani decisamente più originali di inizio millennio, i Marta Sui Tubi.

Lef invece è uno di quei musicisti che lavorano molto dietro le quinte, autore di Saga, il disco operistico di Giovanni Lindo Ferretti, attivo con le band sperimentali Obake e Berserk, e che si è costruito una notevole carriera suonando fin dall’inizio soprattutto fuori dall’Italia. La (super)band che non ti aspetti («Carmelo pensava lo prendessi in giro quando gli ho proposto l’idea», assicura Lef), esperimento che in realtà funziona benissimo. E che dopo l’apprezzato Inflamed rides di un anno e mezzo fa, torna ora al disco con Soul of an octopus, il secondo lavoro uscito stavolta per l’etichetta inglese Rare Noise Records.

Un album in cui, rispetto all’esordio, emerge l’identità di una band compatta, rodata dopo i molti concerti in Europa e Sud America, capace di guardare nella stessa direzione, in cui il punto di partenza è il progressive rock, ma incorporando deviazioni elettroniche, influenze più metallare, inserti jazz.

La disposizione sul palco già spiega molto delle dinamiche all’interno del gruppo, perché in effetti: «non c’è un vero frontman, e siamo messi in un modo che ci permette di guardarci e di dialogare durante il concerto», spiega Lef. «È vero che il mio ruolo è un po’ centrale, perché oltre a essere il cantante sono anche il produttore di questo gruppo, e sul palco sono più esposto. Ma è perché in questo disco siamo andati spontaneamente nella direzione di pezzi più vicini alla forma canzone». Merito anche della disponibilità di due mostri sacri, che hanno risposto con entusiasmo alla nascita del gruppo.

«Apprezzo moltissimo la curiosità di Pat e Colin, che hanno deciso di mettersi al servizio del progetto» racconta Lef, «e questa è una cosa che mi piace molto di chi fa musica all’estero, perché anche da parte di un musicista che ha fatto la storia del rock c’è sempre l’umiltà di un artigiano a cui più di tutto interessa fare bene il proprio lavoro. Mentre in Italia a volte c’è chi fa musica magari proprio per mettersi in mostra».