Quest’annata a dir poco particolare, per usare un eufemismo, per il circuito festivaliero internazionale, cancellazioni, festival online, produzioni interrotte e progetti abortiti, ha nonostante tutto aperto diverse nuove possibilità per le manifestazioni cinefile, o almeno, si è fatto di necessità virtù. Abbiamo non solo assistito ad edizioni streaming o ibride, ma anche alla presenza di produzioni che in condizioni «normali» difficilmente avrebbero avuto lo spazio che poi hanno ricevuto. Aya to majo (Earwig e la strega), primo lungometraggio interamente in 3D realizzato dallo Studio Ghibli e diretto dal figlio d’arte Goro Miyazaki ad esempio, dopo la presenza fantasma a Cannes, invitato ma naturalmente non proiettato, questo autunno verrà trasmesso in anteprima dall’emittente televisiva giapponese NHK. Sempre prodotto dal canale nazionale giapponese è Supai no tsuma (Moglie di una spia), film per la televisione girato in 8K da Kiyoshi Kurosawa, co-scritto da Ryusuke Hamaguchi (Happy Hour, Asako I&II) e trasmesso lo scorso giugno sui piccoli schermi del Sol Levante. Questo dramma storico ambientato fra la città di Kobe e la Manciuria nel 1940, periodo in cui le tragiche ali nere della guerra cominciavano a dispiegarsi sul mondo, verrà presentato in concorso a Venezia, l’unico film proveniente dall’Asia estremo orientale nella sezione. Si tratta di una versione leggermente diversa rispetto a quella vista nelle televisioni giapponesi, infatti avrà un aspect ratio diverso e le tonalità dei colori usate saranno leggermente modificate. Kurosawa, che dopo gli inizi di carriera nei pink eiga (il cinema soft core) e la conquista della popolarità nel genere horror, in queso ultimo decennio è diventato un frequentatore abituale dei festival più prestigiosi, specialmente Cannes. Nel 2012 portò a Venezia un’altra opera in qualche modo ibrida, Penance, una serie pensata per il piccolo schermo e composta di 5 episodi, prodotta dal canale satellitare Wowow.

Moglie di una spia è un progetto non solo trasmesso, ma anche nato e finanziato per volontà dell’NHK, parte del nuovo canale interamente dedicato a programmi e lavori realizzati in altissima definizione, in 8K appunto, dal 2018. Le riprese sono state completate poco prima che il Covid-19 si diffondesse anche nell’arcipelago, con il lavoro di post-produzione portato avanti in piena pandemia a distanza, modus operandi che è una costante per molti dei lavori presentati quest’anno al Lido. Kurosawa si è inoltre detto entusiasta per questa nuova sfida, filmare per la prima volta in altissima definizione e con due degli attori giapponesi più talentuosi in circolazione al momento, Yu Aoi e Issei Takahashi.

Fuori concorso sarà presentato Di yi lu xiang (Love After Love) di Ann Hui, cineasta che a Venezia riceverà un meritato Leone d’Oro alla carriera, più di quattro decenni di cinema con cui la regista ed attrice ha raccontato gioie, dolori e mutamenti dell’ex colonia britannica, ora più che mai ad uno snodo epocale della sua storia. Love After Love, che si avvale delle musiche di Ryuichi Sakamoto e della fotografia di Christopher Doyle, segue la storia di una giovane donna che da Shangai si trasferisce a Hong Kong per completare la sua educazione, ma che finisce imbrigliata, tramite la zia e per potersi pagare gli studi, in una rete di complicate e pericolose relazioni amorose e sessuali.

Sempre fuori concorso Nak-won-eui-bam (Una notte in paradiso) di Hoon-jung Park, l’unico film sudcoreano invitato quest’anno a Venezia, Tae-goo Eom e Yeo-been Jeon sono i protagonisti di una storia di gangster dove lui è il bersaglio di un’organizzazione criminale, mentre lei è una donna molto malata oramai vicina alla fine della sua vita. Dopo New World e The Witch: Part 1 Park continua ad esplorare quindi il mondo del crimine sudcoreano, questa volta ambientando le vicende nell’isola di Jeju, luogo ancora oggi carico di profondi significati per il popolo coreano. L’isola è una sorta di paradiso tropicale che però è stata teatro di uno dei massacri più efferrati avvenuti nel paese asiatico, tra l’aprile del 1948 e il maggio del 1949, quando l’esercito coreano affogò nel sangue la rivolta portata avanti dal partito dei lavoratori e dal partito comunista. Secondo Alberto Barbera Una notte in paradiso è uno dei migliori film sul mondo della criminalità usciti dall’industria cinematografica sudcoreana in questi ultimi anni e Park, sempre secondo il direttore artistico del festival, è uno scrittore e regista che merita molta attenzione per la sua abilità di creare personaggi complessi e fuori dagli schemi.

Ritorna a Venezia in Orizzonti, sezione dove fra il 2007 ed il 2008 fu in qualche modo «lanciato» a livello internazionale e premiato per due dei suoi migliori lavori, Death in the Land of Encantos e Melancholia, Lav Diaz. Quest’anno l’autore filippino porta al Lido Genus Pan (Lahi, Hayop), un film dalla durata «normale» per il regista, meno di tre ore, che saggiamente quindi non è rimasto imprigionato nell’etichetta di un cinema per che forza deve essere fluviale. Secondo lo stesso Diaz si tratta di un lavoro sugli animali, o meglio, sull’uomo e la sua animalità da cui non riesce a distaccarsi. Leggendo le dichiarazioni del regista, Genus Pan si preannuncia un lungometraggio assai interessante dove il pessimismo quasi assoluto verso la specie umana, con tutta la sua stupidità, cupidigia ed agressività, lascia qualche spiraglio di speranza, con riflessi che sembrano ricordare Aurobindo o Teilhard de Chardin, verso un’ulteriore evoluzione della specie. Bu zhi bu xiu (Senza Sosta, Senza Riposo), sempre in Orizzonti, è una storia ispirata a fatti realmente accaduti in Cina nel 2003 che racconta la resistenza di un giornalista, debutto dietro la macchina da presa per Jing Wang, assistente regista per molti film di Jia Zhang-ke.
Per concludere, nella Settimana della Critica sembra interessante il cortometraggio Where The Leaves Fall realizzato dal regista italo-cinese Xin Alessandro Zheng che narra del viaggio dall’Italia alla Cina di un ragazzo per portare le ceneri del padre nel paese asiatico