Sanshiro è un giovane studente universitario appena arrivato all’Università di Tokyo dalla provincia giapponese dell’epoca Meiji per iniziare i suoi studi di letteratura. Ed è in questa Tokyo allo stesso tempo sferragliante e ovattata, buia e illuminata ora da fiamme ora dall’elettricità che Sanshiro è travolto da un «tranquillo uragano». In questa atmosfera di inizio secolo entra in contatto con un mondo nuovo, nel quale stringe amicizia con Yogiro «amabile mascalzone» instancabile tessitore di trame; frequenta le due ragazze di città Yoshiko e Mineko; e conosce Hirota il professore attorno a cui tutti i personaggi si muovono. Il protagonista, Sanshiro, si ritrova immerso nel fervore della vita intellettuale dell’epoca che ben si rispecchia nelle conversazioni tra i personaggi.

La Tokyo dei primi anni del ‘900 descritta nel romanzo è, infatti, non solo il luogo che ospita la storia personale di Sanshiro, ma anche il grande cambiamento sociale, estetico – soprattutto architettonico – e intellettuale di quegli anni cruciali per la nascita del Giappone moderno, nei quali, però, c’è ancora spazio per scorci di cieli e prati appartati. Una città e una nazione sospesa tra tradizione e modernità, tra occidente e oriente. Proprio come è Haraguchi pittore alla occidentale dai canoni di bellezza orientali e così come lo sono gli altri personaggi, ognuno in qualche suo modo sospeso tra questi due mondi.

«Il mio compito si limita a lasciare liberi i personaggi all’interno di quella atmosfera» scrisse del romanzo l’autore stesso, Natsume Soseki. Dentro c’è molto di più. Nelle pagine del romanzo ci sono tutti i temi della poetica di Soseki: la ricerca dell’identità personale, sociale e letteraria. C’è il Moderno che si apre di fronte alla società giapponese, tra le incertezze di direzione e l’assenza di punti di riferimento che nasce dalle nuove opportunità che i personaggi hanno. Le stesse incertezze che portano con sé il formarsi dell’individualità di Sanshiro tra debiti non ripagati e ingenue esitazioni sono in fondo anche la chiave di tutta l’opera di Soseki (autore non per nulla del saggio-manifesto «Il mio individualismo»).
Proprio la ricerca di una modernità propria e della relativizzazione del modello universale occidentale proposto dalle università e dagli scrittori dell’epoca è stato uno dei motivi portanti delle opere di Soseki ed è al centro anche di Sanshiro.

Formatosi prima sui classici cinesi e poi sulla letteratura inglese, Soseki è diventato in seguito professore di letteratura all’università imperiale di Tokyo, che abbandonò però nel 1907 per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura di romanzi.

Scelta che, sulle pagine del quotidiano per cui scriveva a puntate, giustificò così: «Soseki non può sentirsi vivo a meno di non scrivere». «Il mutamento si può intendere come una meccanica della letteratura, mentre la stasi ne costituisce la materia prima» scriveva Soseki a proposito del rapporto tra coscienza e opera d’arte nei suoi Fondamenti filosofici della letteratura. Sanshiro, muovendosi come un «bambino smarrito», avrà modo di farceli conoscere entrambi.
(Sanshiro, Nastume Soseki, Marsilio editore)