La Cina come professione. Fare paragoni tra epoche lontane tra loro è sempre un azzardo. Esistono però alcune costanti. La vita di Sir Edmund Backhouse, baronetto di sua maestà, rientra nella categoria, quella dei personaggi che attorno alla passione e alla profonda conoscenza dell’Oriente hanno costruito la propria figura.

E il verbo costruire è quello più adatto nel caso dell’orientalista britannico che la Cina la visse a cavallo tra la decadenza dell’Impero e la Repubblica. «Un misconosciuto eroe del nostro tempo», scrive Adelphi presentando il personaggio, «Un uomo che dinanzi ai molti stolti che in ogni mistero vedono una mistificazione, ha saputo dimostrare con la dedizione di una vita intera che la mistificazione stessa è uno dei misteri più profondi».

Un essere straordinario che «forse non si è mai rivelato completamente per quello che era», disse di lui Reinhard Hoeppli, diplomatico svizzero di base a Pechino.  «Il più grande genio che io abbia avuto il privilegio di conoscere», lo descrisse George Ernest Morrison, corrispondete del Times all’inizio del secolo scorso. «Il più grande mascalzone che si sia mai visto in Estremo Oriente», lo ricorda ancora la quarta di copertina dell’«Eremita di Pechino», corposa biografica, pubblicata in Italia nel 1981 e compilata dallo storico Hugh Trevor-Roper, partendo proprio dalle memorie di Backhouse, un testo «fitto di enormità e oscenità d’ogni genere» ma di cui difficilmente poteva essere garantita la veridicità.

Le foto d’epoca ritraggono Backhouse con una lunga barba bianca, avvolto in una tunica di seta.  Un po’ Lev Tolstoj, un po’ Tagore, un po’ mandarino d’alto rango. Personaggio riservato e bizzarro, che millantava conoscenze approfondite all’interno della corte manciù e capace di creare un classico cinese. Fu sinologo raffinato, traduttore con una grande conoscenza della lingua cinese, spia al servizio dei servizi segreti, esperto per le aziende, fonte per i giornalisti all’epoca a Pechino, desiderosi si sapere i dietro le quinte della Città Proibita, cui forniva informazioni che spacciava come di prima mano sui palazzi del potere. È in questa veste che guadagno notorietà con «China under Empress Dowager» («La Cina sotto l’imperatrice vedova») resoconto realizzato assieme reporter John Otway Percy Bland e basato principalmente sui presunti diari di un eunuco di corte.

Una convinzione, quella di poter comprendere a pieno le dinamiche interne al governo, che ancora oggi caratterizza molte analisi su cosa si muova nel corpaccione del Partito comunista, spesso sostenute soltanto dalla convinzione che siano vere.  Le vicende di Sri Edmund Backhouse,, sempre in bilico tra realtà e leggenda, rimandano a una Cina alle prese con sconvolgimenti epocali, con la fine dell’impero. Ma alcune costanti le si possono ritrovare anche oggi, guardando in chiave moderna agli expat che popolano la capitale.

(L’eremita di Pechino, HughTrevor-Roper, Adelphi)