Gli unici libri di cucina realmente tollerabili, scritti da un occidentale, sono quelli di Anthony Bourdain. Libri che hanno poco a che fare con la preparazione dei pasti, piuttosto con lo studio, la continua ricerca di un’eredità culturale che è difficile da conoscere per intero. Sono storie, non piatti. Bourdain viaggia fino al delta del Mekong per mangiare l’anatra arrosto tradizionale con un coltivatore di riso, che per la cena con «l’americano» invita almeno una ventina di ospiti, tutti veterani di guerra, molti funzionari del Partito comunista vietnamita.

Lo chef viene sfidato a tagliare l’anatra, a bere distillati fatti in casa, a tornare al suo alloggio in sampan, da ubriaco. L’approccio curioso e distaccato di Bourdain serve anche per apprezzare un piccolo gioiello della cultura giapponese, «Le ricette della Signora Tokue» (Einaudi, 2013) di Durian Sukegawa.
In realtà il romanzo in giapponese si chiama proprio « An», che è la marmellata di fagioli rossi azuki. E tutti i ventinove brevi capitoli di questa storia ruotano intorno alla marmellata.

Che è un pretesto, ovviamente, per parlare di qualcos’altro, proprio come nei libri di Bourdain il cibo è solo un accidente per raccontare storie. Sentaro, il protagonista del romanzo di Durian Sukegawa, è costretto a gestire un chiosco di dorayaki – quei dolcetti giapponesi simili ai pancake e quasi sempre ripieni di marmellata di azuki per colpa di un debito col vecchio proprietario ormai morto.

È il prototipo del giapponese svogliato e che non si impegna nel lavoro, un uomo che galleggia in superficie senza amare niente di ciò che fa: la letteratura giapponese è ormai piena di questi prodotti del periodo della grande deflazione, il ventennio di stagnazione economica che ha influenzato in modo determinante anche la produzione artistica.
Sentaro compra la marmellata industriale e addirittura la congela, per non sprecarla. Una specie di aberrazione dei dorayaki, come per noi potrebbe essere la pizza con l’ananas.
Un giorno, però, un’anziana si avvicina al chiosco e si offre di aiutarlo. La signora, che ha i segni della lebbra sul corpo, ovviamente fa la migliore marmellata di fagioli rossi del mondo.

Quella scritta da Durian Sukegawa è una favola – da cui è stato tratto pure un film nel 2015 diretto da Naomi Kawase – ed è facile intuire il lieto fine.

Non ci sono colpi di scena rilevanti né sofisticate tecniche narrative: tutto scorre in modo piuttosto prevedibile, non ci sono mele avvelenate da evitare né vecchie streghe invidiose.
In questo libretto che si legge nel giro di un fine settimana ci sono in realtà tutte le ossessioni della cultura giapponese: il senso del dovere, il rispetto per gli anziani, il rapporto tra insegnante e allievo, l’accettazione della malattia, l’isolamento e la solitudine in una società ultramoderna come quella giapponese.

L’errore e la propria personale redenzione, che passa attraverso l’apertura e «l’ascolto», perfino dei fagioli rossi.

(Le ricette della Signora Tokue, Durian Sukegawa, Einaudi)