un corvo. E c’è una donna cieca condannata a morte. C’è uno spazzino maoista e c’è un cadetto dell’aviazione scomparso, uno che appiccicava poesie dentro al suo armadietto in camerata.
E c’è un altro cadetto, Ali Shigri, quello che compare nei filmati dei generali che salgono sull’aereo: quello in disparte, che entra per pochi secondi nell’inquadratura e che racconta la storia ai lettori.

La storia di una cassa di mango caricati sull’aereo presidenziale e di uno dei misteri più fitti della storia pakistana: l’esplosione dell’Hercules C-130 pomposamente ribattezzato Pak One su cui viaggiava il generale Zia, dittatore del Pakistan nel decennio tra il 1978 e il 1988. Sul Pak One, quel 17 agosto 1988, viaggiava un nutrito numero di generali dello Stato Maggiore e viaggiava anche, pare per un infausto caso, l’ambasciatore americano in Pakistan Arnold Raphael.

La storia, quella ufficiale, ha registrato una serie di fatti: Zia, Raphael e i generali sono saliti a bordo. Altri generali si sono dati opportunamente malati. Sull’aereo sono state caricate un paio di casse di mango appena raccolti. L’aereo ha preso quota e poi ha cominciato una serie di picchiate e risalite per poi schiantarsi al suolo poco dopo.
Dell’omicidio sono stati accusati i soliti noti, quelli che vengono regolarmente accusati in Pakistan anche di terremoti, inondazioni e fenomeni atmosferici anomali. In ordine di apparizione la Cia, il Mossad, la Raw (i servizi segreti indiani), il Kgb e, tanto per fare buon peso, l’allora sospettato numero uno di ogni azione criminale commessa ai tempi in Pakistan: Murtaza Bhutto, il fratello cattivo dell’angelica Benazir. Mohammed Hanif riprende una della teorie del complotto più accreditate all’epoca: le casse di mango contenevano gas nervino che, liberatosi, avrebbe ucciso piloti e passeggeri. La riprende a modo suo, però, facendone un delizioso romanzo umoristico da leggere tutto d’un fiato. Una satira esilarante dello sgangherato esercito pakistano che, pur non avendo mai vinto una guerra, si ritiene il migliore e il più efficiente del mondo.

Le descrizioni e i personaggi che si aggirano per il centro di addestramento dei cadetti valgono da soli la lettura del libro: così come i cadetti stessi e come il buon Ali Shigri.
Hanif innesta, su una teoria del complotto, un movente immaginario ma alla fine buono quanto qualunque altro. Senza rivelare troppo della stralunata ed esilarante trama, basta raccomandare le scene in cui viene accuratamente ritratto il violento e fanatico generale Zia alle prese con la sua acidissima first lady.

Come detto, c’è una donna cieca e c’è uno spazzino maoista. E un serpente, e un corvo. E un cadetto scomparso, che è decisamente gay, e uno che crede che Zia abbia ucciso suo padre. E ci sono i manghi, ovviamente, e i generali. E c’è soprattutto la geniale scrittura di Mohammed Hanif, forse il miglior scrittore pakistano del momento. Da leggere, o da rileggere se avete dimenticato quanto può essere divertente la storia della morte di un dittatore.

(Il caso dei manghi esplosivi, Mohammed Hanif, Bompiani)