Alzarsi durante l’inno nazionale, chinarsi a raccogliere un centesimo per la strada, fare il tifo per quelli su cui non scommette nessuno, fregarsene se il sacchetto al supermercato è di carta o di plastica, rispondere a chi si definisce cittadino del mondo: «e in che ambasciata vai quando finisci nei pasticci?». Spiegando il titolo del suo nuovo libro, Old School: Life in the Sane Lane Bill O’Reilly descrive così alcuni delle connotazioni di chi è «vecchia scuola» – come lui. E che includono «diventare più buoni con gli anni». Al primo posto nelle classifiche di vendite, dalla sua uscita, due settimane fa, il nuovo best seller della star di Fox News (ultima aggiunta in una fortuna editoriale da più di 17 milioni di copie in circolazione) è solo il corollario di un impero mediatico ancorato al programma televisivo più seguito delle news via cavo americane, The O’Reilly Factor – oltre 5 mila episodi all’attivo a partire dalla massa in onda, nel 1996, una media di quattro milioni di spettatori a sera (aumentati del 40% rispetto a due anni fa) e, per il network di Rupert Murdoch, incassi di miliardi, pari a 446 milioni di dollari in pubblicità solo tra il 2014 e il 2016.

Seguito da un pubblico  prevalentemente bianco (9 su 10) e mediamente diviso tra uomini e donne, O’ Reilly è il più brillante, affilato, dei conduttori di Fox News; il suo brand di alt right abilmente stemperato da un mix di umorismo dell’assurdo, (in cui sfuma le sue fake news o le teorie del complotto), di irriverenza nei confronti del potere e di showmanship, che lo rendono più una nemesi del satirista Jon Stewart che un collega dell’untuoso propagandista Sean Hannity o del gruppetto servile di Fox and Friends (tra i programmi mattutini preferiti da Donald Trump). Bellicosa, impunita e impunemente alpha-man, la «vecchia scuola» di O’Reilly è sinonimo di Fox News come Edward R. Murrow lo fu della CBS. E come il Dna dell’uomo che lo ha assunto e ha coltivato la sua scalata ai ratings – il demiurgo della rete, Roger Ailes.

È quindi doppiamente simbolico che, nemmeno un anno dopo la fuoriuscita di Ailes (condita di un bonus da 40 milioni di dollari), anche la posizione di O’Reilly vacilli per ragioni analoghe a quelle che hanno segnato la fine del suo padrino. Ufficialmente «in vacanza» con la famiglia, O’Reilly sta infatti presumibilmente aspettando l’esito di un’indagine interna al network murdochiano iniziata dopo la pubblicazione (il 1 aprile) di un’inchiesta del New York Times che ricostruiva come il conduttore e Fox News abbiano pagato un totale di 13 milioni di dollari per mettere a tacere le accuse di molestia sessuale o verbale sporte da cinque donne nei suoi confronti. Avances indesiderate seguite da demolizioni di carriera in caso di «no grazie», telefonate lubriche, scenate d’ira violenta in pubblico – come descritti dal reportage i comportamenti di cui O’Reilly è accusato vanno dal lato dark del «vecchia scuola» (immagino non esplorato nel suo libro) a livelli più pesanti. Lui si dichiara innocente (ha scelto uno dei portavoce di Bill Clinton contro Monica Lewinsky) e dice di aver pagato solo per evitare ai figli l’imbarazzo della pubblicità. Per decidere cosa fare, Lachlan e James Murdoch (oggi alle redini della galassia di papà) hanno assunto lo stesso avvocato che aveva indagato Ailes. Effettivamente, come mi faceva notare l’altro giorno un’executive donna che lavora per Fox News e vota democratico, nessuna delle accuse contro O’Reilly è stata ancora provata, e lui non è incriminato di niente.

Ma la pubblicazione dell’inchiesta del NYTimes è stata seguita da un fuggi fuggi generale dei maggiori inserzionisti (Mitsubishi, Subaru Aleve, Jenny Creig), così che gli spot rimasti nelle trasmissioni che O’Reilly ha condotto pre -«vacanza» ricordavano quelli dei mobilifici nelle nostre tv private anni ottanta. O, come suggeriva l’ultimo Saturday Night Live, l’equivalente pubblicità del Viagra per cavalli. Nel suo libro appena uscito l’anchor Megyn Kelly – ovvero il futuro di Fox News secondo James e Lachlan, ma recentemente passata alla NBC – ha scritto che i comportamenti di O’Reilly hanno contribuito alla sua decisione di andarsene. E molti, tra cui Hollywood Reporter, chiedono la sua testa. Opposta la reazione dei suoi spettatori della red America che, nei giorni successivi allo scoppio dello scandalo, non hanno smesso di seguirlo. Anzi, sono apparentemente diventati di più.