Golpe nunca mais». Mai più colpi di stato. Così i movimenti popolari brasiliani si sono mobilitati ieri contro l’impeachment a Dilma Rousseff in un clima di alta tensione. Manifestazioni si sono tenute in contemporanea in diversi paesi dell’America latina. Al Senato, si discuteva il procedimento contro la presidente che, per passare, necessita di una maggioranza semplice, ovvero la metà più uno degli 81 deputati. Al momento per noi di andare in stampa, i deputati non avevano ancora votato.

Ogni iscritto a parlare ha avuto un tempo di 10-15 minuti: a cominciare dal relatore della commissione speciale che ha dato il via libera al Senato per il procedimento, Antonio Anastasia, e dall’avvocato difensore della presidente, José Eduardo Cardozo. In questi giorni, il presidente del Senato, Renan Calheiros, del Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb), ha respinto la possibilità di sospendere il giudizio di impeachment dopo l’improvviso annullamento «per vizio di forma» della precedente decisione – presa dalla Camera il 17 aprile -, dichiarato (ma subito ritirato) dal presidente ad interim della Camera, Valdir Maranhao, del Partito Progressista. La difesa di Dilma ha presentato ricorso contro l’impeachment, ma la Corte suprema lo ha respinto. Maranhao ha fatto marcia indietro perché il suo partito ha minacciato di espellerlo.

Se il responso sarà anche questa volta sfavorevole a Rousseff, la presidente dovrà essere allontanata dall’incarico per 180 giorni, il tempo utile allo svolgimento del processo. Al suo posto, andrebbe il vicepresidente Michel Temer, del Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb). Certo della vittoria, Temer ha già annunciato la formazione del suo nuovo governo che calerà la scure sui diritti e sulle garanzie. Temer è a sua volta indagato e a rischio di impeachment, ma spera di salvarsi in corner con la nuova assunzione di incarico. La sua è una formazione centrista un tempo alleata del governativo Partito dei lavoratori (Pt), e da sempre determinante nei giochi istituzionali del paese.

Nel contesto di crisi economica e di ritorno in forza delle destre in America latina, uno dei punti di fragilità del secondo governo Rousseff – che ha vinto con stretto margine sul candidato delle destre, Aecio Nieves, nel 2014 -, è stato determinato dalla frammentazione del sistema partitico e dalla difficoltà di mettere insieme una maggioranza solida. I partiti presenti sono 28. Il Pmdb è la forza che ha più deputati al Congresso.

Per portare avanti l’impeachment insieme al Partito della socialdemocrazia brasiliana (Psdb, di opposizione), la formazione ha deciso di ritirare l’appoggio al governo. Una manovra diretta da Cunha e Temer, per vendicarsi di Rousseff che ha permesso l’indagine per riciclaggio di denaro sporco e altri reati nei loro confronti. Accuse che coinvolgono un elevato numero di deputati, prevalentemente dei due partiti in questione. Sui 21 senatori della Commissione che hanno dato il via libera all’impeachment al Senato, 8 sono sotto processo per il grande scandalo che coinvolge l’impresa petrolifera di Stato, Petrobras.

Una situazione paradossale se si considera che in un siffatto quadro politico, Rousseff è l’unica a non essere mai stata coinvolta nelle accuse di interessi privati in atti pubblici. L’imputazione istruita a suo carico dall’ex presidente del Parlamento, Eduardo Cunha e spinta da Temer riguarda presunte violazioni delle norme fiscali per aver taciuto l’entità del deficit nel bilancio: ovvero per essersi fatta anticipare dalla banca nazionale i soldi per i piani sociali rivolti agli strati meno favoriti, che le destre vorrebbero cancellare. Una prassi utilizzata da molti presidenti e in questo caso non certo per fini personali.

Di ben altri reati è invece accusato Cunha, per molti un vero gangster della politica, sempre scampato ai sospetti e agli scandali. Questa volta, l’inchiesta giudiziaria contro il potente terminale delle chiese evangeliche è partita a dicembre, quando sono saltati fuori i suoi conti in Svizzera non dichiarati, provenienti – secondo diversi pentiti – da grossi giri di corruzione. Cunha è così stato sospeso dall’incarico.

Rousseff, la prima presidente donna del Brasile, si è sempre dichiarata innocente, e ha promesso di resistere per onorare il mandato dei 54 milioni che l’hanno eletta. Insieme ai movimenti popolari, ha denunciato il golpe istituzionale, promosso dalle destre con l’appoggio dei grandi media e di certa magistratura: «Non sono stanca di lottare – ha detto – mi sono stancata dei traditori».