Il primo ministro ungherese Viktor Orbán è alle prese con una grana giudiziaria. L’Ufficio antifrode dell’Ue (Olaf) denuncia una serie di irregolarità in operazioni svoltesi fra il 2009 e il 2014 per modernizzare gli impianti di illuminazione in una decina di città di provincia del paese. Si parla di attività che fruttarono ai beneficiari la somma di oltre 40 milioni di euro a fronte di appalti che, secondo l’Olaf erano gestiti in modo tale da premiare sempre la ditta Elios, di proprietà del genero di Orbán. Il tutto sarebbe avvenuto con la complicità dei sindaci interessati, tutti esponenti del Fidesz, il partito dell’attuale premier ungherese. La procura, controllata dal governo, ritarda l’avvio delle indagini e il primo ministro ostenta la solita sicurezza e porta avanti la sua campagna elettorale sicuro della «giusta vittoria» per un terzo mandato.
.

ORBÁN afferma con soddisfazione di aver debellato, nel suo paese, l’immigrazione clandestina. Quello dei flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente è un tema su cui il premier si esprime sottolineando la necessità della linea dura, perché a suo avviso il fenomeno mette a repentaglio la sopravvivenza dell’Europa e della sua identità culturale. Su questo Orbán gioca da anni una partita politica che gli ha fruttato non pochi consensi. L’argomento è al centro della sua campagna elettorale che vede il paese percorso da cartelloni governativi scritti per agitare lo spauracchio dell’invasione musulmana del paese e dell’intero Vecchio Continente.

Il premier è in sintonia con gli altri leader del Gruppo di Visegrád (V4, costituito da Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia) nel respingere la politica Ue sul fronte migranti e il sistema dei ricollocamenti che dal V4 viene considerato un ricatto in quanto vincola la possibilità di ottenere finanziamenti comunitari alla condizione di ospitare migranti. I paesi di Visegrád vivono la politica dell’accoglienza come un’imposizione che non tiene conto del volere dei governi nazionali e delle popolazioni interessate.

Sarà però utile sottolineare il fatto che, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, nel 2017 l’Ungheria avrebbe accolto in segreto 1.291 profughi che si trovavano al confine meridionale, accordando loro il diritto d’asilo e lo status di rifugiati o la protezione umanitaria. Lo avrebbe reso noto l’Ufficio per l’immigrazione (Bah), dietro insistenze della stampa. Il paese doveva ospitare 1.294 richiedenti asilo ricollocati dall’Italia e dalla Grecia, ma il governo ha sempre respinto questo principio, nonostante il verdetto della Corte Ue. Del resto risulta che i 1.291 dell’anno scorso non hanno niente a che fare con la procedura dei ricollocamenti.

IL CONFRONTO con Bruxelles è da tempo uno dei cavalli di battaglia di Orbán il quale si prepara alle elezioni politiche dell’8 aprile con sondaggi che lo vedono in grande vantaggio rispetto ai suoi avversari politici. Alcune cifre parlano di un 34% a favore del partito governativo Fidesz, seguono a quota 13% Jobbik, che ha deciso di mettere da parte il radicalismo per vestire i panni della forza politica conservatrice sì, ma moderata, i socialisti al 9%, alcuni soggetti politici liberali e centristi che si collocano fra il 6% e il 3% e Momentum che proviene dalle lotte della società civile e che starebbe intorno all’1%.

A GENNAIO si è avuta notizia di procedimenti avviati dalla Corte dei Conti, controllata dal governo, per presunte irregolarità finanziarie da parte dell’opposizione. «È un attacco alla democrazia, Orbán vuole annientarci», è stato il commento di Gábor Vona, presidente di Jobbik. Gli ha fatto eco Péter Juhász, leader di Együtt (Insieme, centro), secondo il quale le elezioni dell’8 aprile «non saranno né libere né trasparenti», «cercheremo, comunque, di sconfiggere il regime corrotto di Orbán», ha aggiunto. Non sarà facile dal momento che la legge elettorale, voluta dal Fidesz, favorisce i partiti più forti; l’opposizione avrebbe delle opportunità solo se desse vita a una lista unitaria con candidati nei singoli collegi uninominali, ma allo stato attuale non sembra si stia aprendo uno scenario del genere.

Nel paese il peso della propaganda governativa è schiacciante, Budapest e le altre città ungheresi si sono riempite di manifesti con su scritto «Stop Soros». Il governo sostiene infatti la tesi che attribuisce al magnate americano di origine ungherese, il piano di riempire l’Europa di milioni di migranti musulmani. A questo proposito, nei giorni scorsi è stato presentato al Parlamento un pacchetto di leggi atto a colpire pesantemente le Ong impegnate nell’assistenza ai migranti e in particolare quelle finanziate dall’estero, quindi, secondo il governo, riconducibili a Soros. Le autorità di Budapest vorrebbero anche impedire a quest’ultimo l’ingresso nel paese. Alle obiezioni fatte a suo tempo, che facevano notare al ministro dell’Interno Sándor Pintér l’incostituzionalità del provvedimento in quanto Soros è cittadino ungherese, questi ha risposto che l’interessato ha la doppia cittadinanza e quindi il provvedimento è applicabile.