«Sulla soglia della maggioranza parlamentare di due terzi». Mentre scriviamo, la lista governativa Fidesz-KDNP, secondo l’Ufficio elettorale nazionale, risulta forte del 44,36% dei voti, seguita dall’Alleanza Democratica a quota 25,89%. Terzo il partito di estrema destra Jobbik col 20,46% dei consensi, quarti i liberali ambientalisti dell’LMP col 5,24%. Come da sondaggi, che pure avevano messo in dubbio la permanenza dell’LMP al parlamento, cosa poi verificatasi.

Il vero vincitore è lui, Viktor Orbán, 50 anni, capo del governo fra il 1998 e il 2002 prima di tornare alla guida del paese nel 2010, quando è riuscito ad accreditarsi come l’unico politico capace di difendere gli interessi nazionali. Chi lo sostiene afferma che con lui l’Ungheria ha imboccato la strada dello sviluppo e ha ritrovato la fiducia in se stessa. «Orbán ci ha restituito dignità», dice il suo fedele elettorato. Alla manifestazione di sabato 29 marzo il primo ministro ha chiesto agli ungheresi di votarlo per portare avanti la «lotta per la libertà» del paese dai tecnocrati dell’Ue, dalle banche e dalle multinazionali e molti di quelli che sono andati a votare gli hanno detto sì.

L’affluenza alle urne è stata bassa, intorno al 62%, inferiore al dato registrato quattro anni fa. «Chi sta a casa regala un voto a Orbán» aveva detto il leader socialista Attila Mesterházy, membro dell’Alleanza Democratica che ha riconosciuto la sconfitta ma non si è voluta congratulare con il vincitore. Già ben prima delle elezioni l’opposizione di centro-sinistra aveva denunciato il fatto di disporre di ben poco spazio durante la campagna elettorale e di essere penalizzata da un sistema elettorale nuovo, studiato dall’esecutivo sulla base dei suoi interessi assecondati nello specifico da una proliferazione delle candidature, per complicare, secondo gli esperti, le cose agli elettori contrari al Fidesz, e dalla ridefinizione delle circoscrizioni a vantaggio delle forze di governo.

Gli appelli dell’opposizione a bocciare un potere antidemocratico e antisociale, a mandare a casa un esecutivo che sta rendendo il paese sempre più dipendente da Mosca sul piano energetico non hanno funzionato. Hanno prevalso la capacità del premier di toccare corde alle quali gli ungheresi sono sensibili, l’assenza di soluzioni alternative e anche una certa rassegnazione. Tutto questo in un paese diviso su tutto. Gli elettori del Fidesz fanno notare che con Orbán l’economia ha ripreso a crescere, l’inflazione è diminuita, il deficit di bilancio è sotto il 3% ed è stato dato all’Unione europea un segnale chiaro: «Qui sono gli ungheresi a comandare». Il primo ministro è indubbiamente abile a rilevare le contraddizioni esistenti nell’Ue, la sua distanza dalle popolazioni dei diversi paesi e dal loro quotidiano. Orbán appare così ai suoi connazionali come quello che ha saputo opporsi all’arroganza di Bruxelles e all’invadenza del Fondo Monetario Internazionale. Da una parte lui, dall’altra un’opposizione guidata da figure impopolari come Gyurcsány o poco carismatiche come il giovane Mesterházy che hanno cercato di controbattere ai proclami del premier definendo non concreta e non sostenibile la pretesa crescita economica dell’Ungheria.

Secondo lo scrittore Gyögy Konrád ci sarà pure crescita nel paese ma sono aumentate anche le disuguaglianze e il divario fra ricchi e poveri. Secondo stime recenti un terzo degli ungheresi soffre la povertà e però, fanno notare gli oppositori del Fidesz, il governo costruisce stadi di calcio mentre ci sono altre priorità: le scuole, la sanità. Ma per Fidesz l’Ungheria è rinata e Budapest non è mai stata così bella, con le opere che sono state realizzate, facciate ristrutturate, piazze nuove. A cominciare da quella del parlamento che è stata reinterpretata in chiave autocelebrativa, con uno stile che sembra proprio espressione di un potere forte, accentratore e autoritario.

Tornando alle elezioni, il risultato di Jobbik preoccupa per la crescita dell’ultranazionalismo. Il partito non è riuscito a diventare la seconda forza politica, ma è cresciuto rispetto al 2010 passando dal 16,7% a quasi il 21% e in questi ultimi anni si è distinto per esternazioni e proposte di carattere antisemita, iniziative anti-Rom, performance antieuropeiste con tanto di rogo della bandiera Ue e realizzazione di un busto in onore di Horthy, installato nella chiesta protestante di Budapest, in pieno centro, a poca distanza dal parlamento.