Vista dai Balcani, la nomina di László Trócsányi a commissario europeo per l’allargamento ha il sapore di un’amara beffa. Non solo amara, ma anche preoccupante. L’ex ministro della Giustizia ungherese nei governi Orbán III e IV è infatti uno dei principali artefici dello smantellamento dello stato di diritto nel Paese. Tra i provvedimenti che portano la sua firma, quelli che criminalizzano le Ong che si occupano di migranti, e quelli che hanno costretto l’Università dell’Europa centrale, dopo ben trent’anni di attività a Budapest, a trasferire la sede a Vienna.

Da ultimo Trócsányi ha promosso una riforma della giustizia che introduceva un sistema di tribunali amministrativi alle dirette dipendenze del ministero della Giustizia. Riforma che era valsa la sospensione di Fidesz dal Partito popolare europeo, prima della marcia indietro del premier ungherese Viktor Orbàn.

Ma perdere una battaglia non significa necessariamente perdere la guerra. E con la nomina di Trócsányi, Orbàn incassa oggi una vittoria significativa in quel retroterra strategico per il premier ungherese che sono i Balcani. Da anni l’autocrate conduce una politica spregiudicata in una regione che negli ultimi anni è scomparsa dall’agenda politica europea, se non in relazione a immigrazione e terrorismo, e che è sempre più esposta alle mire di Cina, Russia, Turchia e Paesi del Golfo.

È in questo perimetro che si svolge l’azione di Orbàn: dopo aver riunito i Paesi dell’Europa centro-orientale nel gruppo di Visegrad, punta ora ad esportare il suo modello di «democrazia illiberale» tra gli Stati dell’ex Jugoslavia, dentro e fuori l’Ue, dalla Croazia alla Macedonia del Nord, dalla Serbia alla Slovenia. E lo fa con un misto di alleanze politiche, investimenti diretti e soft power con il quale sta favorendo la rinascita dell’autoritarismo in questi Stati. Il premier ungherese si è insinuato tra le fratture non ancora ricomposte delle guerre degli anni Novanta, soffiando sul fuoco di nazionalismi mai sopiti.

Nella visione di Budapest i Balcani tornano a essere la linea difensiva contro l’invasione dei migranti e l’islamizzazione d’Europa. In questa visione risulta decisiva la rete di alleanze che Orbàn ha costruito con le forze nazionaliste dei Balcani, dal presidente serbo Aleksandar Vucic al membro serbo della Presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina Milorad Dodik all’ex premier macedone Nikola Gruevski, fuggito in territorio magiaro per non finire in carcere dopo la condannato per abuso d’ufficio.

La nomina di Trócsányi è quindi solo l’ultimo tassello di una più ampia strategia finalizzata in ultimo a ingrossare le file dei democratici illiberali, come ama definirli Orbàn, nelle istituzioni europee. Il premier ungherese aveva già tentato di forzare il blocco 5 anni fa. Ieri come oggi Budapest aveva rivedicato per sé il portafoglio dell’allargamento. Le pretese di Orbàn però si sono infrante contro il niet dell’ex presidente della Commissione europea Juncker che gli aveva preferito l’austriaco Johannes Hann, frustrando le aspirazioni di Budapest che aveva dovuto accontentarsi di Gioventù e sport.

Eppure lo stesso Juncker al momento dell’insediamento della Commissione era stato chiaro: non ci sarebbe stato alcun allargamento nei 5 anni della sua presidenza. Un monito che ha avuto un impatto negativo nei Balcani che al contrario hanno bisogno ora più che mai di proseguire nel percorso di riforme intrapreso con molte incertezze più di 15 anni fa. Esattamente il contrario di quanto la nomina di Trócsányi lasci presagire.