La retorica del governo ungherese di Viktor Orbán considera prioritarie le politiche di incremento demografico. Non a caso il premier ha definito nei giorni scorsi «strategiche», per il paese, le cliniche della fertilità. Un settore che ha il compito di promuovere l’agenda natalista del suo governo e far crescere la popolazione ungherese offrendo trattamenti gratuiti di gravidanza assistita. Nel corso della conferenza stampa di inizio anno, il primo ministro ha affermato che le pratiche relative alla fecondazione in vitro saranno disponibili per tutte le donne a partire dal mese prossimo.

Queste dichiarazioni seguono la nazionalizzazione, da parte dell’esecutivo, di sei cliniche private della fertilità, che sarebbe avvenuta a dicembre. «Abbiamo acquistato le aziende attive su questo fronte», ha detto Orbán chiarendo che il settore in questione è diventato quasi un «monopolio di stato» e suggerendo agli investitori privati di starne alla larga in quanto «non ci saranno permessi per loro».

In particolare da quando, nel 2015, centinaia di migliaia di rifugiati siriani sono fuggiti dal loro paese dilaniato dalla guerra, Orbán ha intensificato la propaganda anti-immigrazione e reso prioritario l’obiettivo di aumentare il tasso di natalità che in Ungheria, paese di 9.800.000 abitanti, risulta assai in calo. L’intento è quello di ribaltare le proiezioni che prevedono un’ulteriore decremento della popolazione ungherese che, entro il 2050, potrebbe essere di 8.300.000 persone.

Situazione per la quale, secondo la retorica governativa, il paese non può permettersi di accettare comportamenti sessuali «devianti» e non funzionali alla procreazione. Anche per questo, negli ultimi tempi, il governo ha preso a scoraggiare sempre più gli studi di genere aventi come oggetto specifico l’omosessualità.

È tutt’altro che secondario il fatto che l’Ungheria, nel giro di una decina d’anni, abbia vissuto una forte processo emigratorio nell’ambito del quale, secondo le stime dell’Ocse, circa un milione di ungheresi, ha lasciato il paese tra il 2008 e il 2018, contribuendo al calo demografico. Pare che il fenomeno abbia riguardato soprattutto giovani provvisti di titolo di studio e in grado di parlare lingue straniere, e portato a carenze di manodopera qualificata in terra danubiana. Stando a quanto emerge dalle statistiche dell’Onu, nel 2018 le popolazioni dei 28 stati membri dell’Ue sono diminuite di oltre un terzo, calo che ha interessato in modo più evidente i paesi dell’Europa centrale.

Orbán, che nel corso della conferenza di inizio anno si è detto pronto a ricandidarsi alle elezioni del 2022, sottolinea la necessità di preservare le «radici cristiane» del paese e, circa un anno fa, ha offerto un prestito speciale alle famiglie giovani ed esentato le donne madri di quattro o più figli dall’imposta sul reddito. Il premier ha aggiunto di aver anche chiesto al ministro delle Finanze di verificare la possibilità di estendere questo trattamento alle madri provviste di prole meno numerosa, dall’inizio del prossimo anno.

Famiglia, natalità, amor patrio, valori cristiani e sovranità nazionale; la retorica di Orbán abbonda di questi riferimenti per indicare un nuovo modello europeo: quello formato da stati capaci di conservare la loro identità e liberi dalle ingerenze della «tecnocrazia di Bruxelles». A questo proposito Orbán ha affermato proprio ieri in conferenza che «il Ppe, nella sua attuale forma, non suscita l’interesse del Fidesz». Il premier avrebbe anche aggiunto di voler cambiare il Partito Popolare Europeo o di dar vita «a una nuova forza democristiana europea». Per il primo ministro di Budapest il Ppe sta perdendo consensi e modificando la sua linea in funzione liberalsocialista. «Occorre capire se avremo la forza di cambiare la linea sbagliata del Ppe o accontentarci di trovare una nuova collocazione”, ha precisato Orbán.