Il filmato e le foto che ritraggono Petra László, la videoreporter della tv ungherese N1TV, nell’atto di sgambettare e prendere a calci i migranti in fuga dal campo di Röszke, hanno fatto il giro della rete. Stanchi di aspettare assistenza da parte delle autorità ungheresi, i migranti che si vedono nel filmato sfondano le linee della polizia. La donna appare impegnata a dare il suo personale benvenuto ai migranti nel parapiglia, tra essi anche bambini e bambine, una delle quali, secondo quanto mostrano le immagini, viene colpita dalla László. La N1TV, emittente vicino a Jobbik (estrema destra razzista), avrebbe licenziato la donna ma senza scusarsi pubblicamente né dissociarsi dal suo comportamento.

La notizia e il relativo documento filmato sono presto finiti sui social network dove abbondano i commenti e gli appellativi affibbiati alla bionda videoreporter. Qualche ungherese ha sentito la necessità di postare foto di connazionali ritratti nell’atto di offrire cibo e acqua ai migranti in marcia per l’Austria e scrivere: «Questa è la mia Ungheria». C’è chi si riconosce nel paese descritto da immagini di solidarietà nverso questa gente in viaggio verso un mondo diverso da quello che ha lasciato e chi invece vede in quest’ondata migratoria solo un pericolo e un problema di sicurezza e igiene pubblica. Così nei social network compaiono anche le foto delle cartacce lasciate per terra dai migranti in cammino o alla stazione, condite da osservazioni pesanti sul grado di civiltà di questi ultimi. Qualcuno risponde che durante la marcia non hanno avuto il tempo di raccogliere carte e bottiglie e chi fa notare l’insufficiente numero di cassonetti alla stazione Keleti.

È solo uno dei botta e risposta di queste giornate difficili fatte di tensione e di attesa. Non manca la solidarietà ma c’è chi accusa i migranti di diffondere malattie. Ad Ásotthalom, centro abitato al confine con la Serbia, l’insinuazione è ufficiale: un manifesto affisso ai muri delle stazioni degli autobus avvisa la cittadinanza del pericolo rappresentato dalle patologie contagiose dei migranti. Il manifesto invita la gente a non toccare oggetti lasciati per strada o in ogni altro posto pubblico dai migranti e dice ancora che se i cittadini venuti a contatto con questi oggetti toccati senza guanti fossero dopo qualche giorno alle prese con vomito, diarrea e manifestazioni cutanee, devono andare subito dal medico.

L’avviso è firmato dal rappresentante del governo centrale ad Ásotthalom e dal Consiglio municipale di questa città governata dal partito di estrema destra Jobbik che in questi anni ha visto crescere la sua popolarità nel paese. Secondo László Toroczkai, 37 anni, sindaco di Ásotthalom dal 2013, siamo di fronte ad una vera e propria invasione che mette in pericolo la sopravvivenza dell’Europa e che per questo va fermata. Nel centro abitato che si trova a ridosso del confine con la Serbia si è diffuso un notevole consenso sulla barriera «antimigranti» che non è stata portata a termine dall’ormai ex ministro della Difesa Csaba Hende, e si parla di caccia ai profughi nei boschi vicini da parte delle forze dell’ordine.

Intanto il primo ministro Orbán sollecita l’ingaggio di un numero maggiore di operai per portare a termine la costruzione della barriera, cosa che dovrebbe avvenire entro una settimana. L’esecutivo ungherese è tra i sostenitori più accaniti del fronte della fermezza che da Orbán e dai suoi sostenitori viene considerato l’unica possibilità di proteggere l’Europa da un’invasione di popoli provenienti da culture lontane. Secondo il premier il Vecchio Continente rischia di sparire come entità culturale se non si ferma questa «invasione». Da tempo le autorità di Budapest sottolineano il fatto che il flusso incessante di arrivi sottopone il paese ad una pressione sempre più difficile da sostenere e che il compito principale del governo è difendere in modo adeguato le frontiere.

«L’Ungheria agli ungheresi», dicono i nazionalisti i quali non vogliono che il loro paese si riempia di migranti e non accettano di accoglierli secondo i criteri di «poteri esterni».