È nota la vicinanza del governo ungherese di Viktor Orbán alla Russia di Vladimir Putin. Questi buoni rapporti sono da tempo oggetto di aspre critiche da parte dell’opposizione sociale e partitica ungherese, specie quella di centro-sinistra, che accusa il premier di aver voltato le spalle all’Europa dei valori e dei principi democratici. Alle elezioni del 2014, vinte peraltro dalle forze governative, il messaggio di fondo dell’opposizione liberale e di centro-sinistra era del tipo “O con Bruxelles o con Mosca”, vale a dire: “O con la democrazia partecipativa vera e propria o con l’autoritarismo vero e proprio”. Come appena accennato le esortazioni provenienti dalle parti avverse all’esecutivo non funzionarono e Orbán è ancora al governo, sempre intento a invitare i “veri ungheresi” a ribellarsi ai diktat della “tecnocrazia liberale di Bruxelles” e di tutti gli speculatori e manipolatori del capitale globale che vorrebbero privare l’Ungheria e gli altri paesi europei della loro libertà e identità culturale.

Orbán non ha mai fatto mistero di considerare Putin, oltre che sé stesso, modelli per eccellenza di gestione del potere e di interi paesi. Modelli anche in termini di corretta interpretazione dei bisogni e delle paure della gente, bisogni e paure delle popolazioni da loro governate. Nel loro vocabolario cambia il significato del concetto di democrazia che perde le accezioni attribuite alla cultura politica liberale, inadeguata ai tempi secondo Orbán, e assume un’altra connotazione: quella del diritto di essere tutelati da pericoli esterni (organismi sovranazionali, multinazionali, manipolatori alla George Soros), il diritto della sopravvivenza in termini di identità culturale e quindi di respingere valori imposti dall’esterno. Ancora, il diritto di affidarsi a un uomo forte rinunciando all’inganno della partecipazione civile e politica, così come viene intesa nel mondo occidentale, in cambio della sicurezza materiale. Sicurezza fino a un certo punto, verrebbe da dire, dal momento che il paese non è certo esente da problemi di povertà che coinvolgono anche settori numericamente non irrilevanti del pianeta infanzia. Ovviamente questi aspetti insieme ad altre criticità sono negati dal sistema come bieco prodotto di certa propaganda di marca liberale o di sinistra che intendono unicamente gettare discredito sul governo Orbán e sul suo operato.

Secondo l’altra propaganda, quella dell’esecutivo danubiano, “l’uomo forte d’Ungheria” agisce solo per il bene della popolazione, qualunque cosa faccia. Rientra nella casistica anche il contratto firmato di recente dai russi della Gazprom per la fornitura di gas al paese, si parla di 4,5 metri cubi all’anno per quindici anni ad un prezzo maggiore di quello di mercato. Secondo i russi si tratta di pagare di più per avere di più e più garanzie. Infatti, l’attivissimo ministro degli Esteri ungherese si è affrettato a precisare che il contratto siglato con la Gazprom “garantisce a lungo termine il riscaldamento delle case e il funzionamento del settore industriale”.

L’intesa raggiunta dalle parti prevede l’aggiramento dell’Ucraina, in fase di fornitura, facendo perdere in questo modo a Kiev i diritti di transito. Infatti c’è da tenere conto del fatto che, fino a poco tempo fa, il gas russo arrivava in Ungheria grazie a un gasdotto che attraversava il territorio ucraino.

Secondo le informazioni di cui disponiamo, è iniziata, dal primo ottobre, la fornitura di 3,5 miliardi di metri cubi di gas attraverso la Turchia e la Serbia e un miliardo di metri cubi attraverso Germania e Austria.

Secondo diversi esperti il contratto non è vantaggioso per il paese; i medesimi prevedono una diminuzione del consumo di gas e definiscono più conveniente per i consumatori un approvvigionamento i cui costi si basino effettivamente su valutazioni di mercato. Un accordo controverso, quindi, quello sul gas, così come quello sul nucleare, raggiunto nel 2014, sempre con la Russia per potenziare la centrale di Paks. Entrambi vengono visti dall’opposizione come forme di sudditanza nei confronti di un sistema che contribuisce, afferma la critica, a rendere sempre più estrema la deriva antidemocratica ed antieuropea imposta al paese da Viktor Orbán grazie alla connivenza di un elettorato cieco e all’appoggio, magari anche involontario, di apatici e indifferenti.

Mentre scriviamo si attende la fine delle primarie con cui l’opposizione vuole individuare il candidato premier da opporre a Orbán il prossimo aprile. A essa e a chi la sostiene il compito di gettare i semi per una svolta difficile quanto necessaria.