Edit Andras, storica e critica d”arte vive e lavora a Budapest e New York, autrice di numerosi saggi e libri, ha curato private nationalism, mostra nata in Ungheria, poi itinerante per tutto il 2015 nei paesi dell’est europeo. E’ concuratrice di Universal Hospitality progettata per il Festival di Vienna riprendendo e ampliando la mostra ungherese al tema migrazioni, nazionalismo e populismo nei paesi occidentali. Conclusasi fine giugno, andrà a Praga, dove “verrà trasformata e aggiornata alla situazione specifica, non può rimanere congelata, solo che è difficile trovare artisti cechi che si occupino di nazionalismo” dice Andras che abbiamo incontrata a Vienna..

Private nationalism sembra una contraddizione, nazionalismo rimanda più a una dimensione collettiva, statale, private al singolare.

Il paradosso è una scelta, quella di assumere una prospettiva diversa, vedere come la gente partecipa a costruire la nazione, in che modo sostiene il nazionalismo ufficiale . Già tante cose si occupano del nazionalismo ufficiale, dall’alto in basso, così sembra che si tratti di qualcosa che si trova all’esterno delle persone.

Orban dorme nel nostro letto” ha detto la pittrice Kriszta Nagy citata nel suo saggio ‘flagging nationalism’

Dal momento che il nazionalismo è penetrato in ogni angolo delle case Orban è sempre con noi, quindi a tavola e nel nostro letto. Così Nagy ha prodotto una cinquantina di quadri coll’immagine di Orban su tovaglie e lenzuola . Nessuno sapeva quale sarebbe stata la reazione, se provocava uno scandalo, c’era molta esitazione e preoccupazione al riguardo in Ungheria. Immediatamente il primo giorno tutti i quadri sono stati venduti, uno ne ha comprato anche la moglie di Orban. Si è discusso se si trattava di un progetto di supporto o di critica, come era l’intenzione. Una cosa intrigante, perché se ripeti il ritratto 50 volte elimini il potere dell’immagine, che perde la sua aura, oltretutto messa su oggetti che riteniamo bassi come tovaglie e lenzuola gioca anche l’effetto ‘abbiezione’ che ha teorizzato la filosofa Julia Kristeva,

A proposito di immagini. L’estate scorsa svegliava le coscienze l’immagine del piccolo Airan Kurdi, tragedia che contribuiva all’apertura dei confini. Ora le morti in mare non commuovono più, non abbiamo la giusta immagine?

C’ è una competizioni tra le immagini. Quell’immagine era molto potente, ma anche l’altra parte, il media capitalismo e il nuovo nazionalismo usano le immagini, finiscono a neutralizzare immagini che altrimenti farebbero effetto . Alcuni artisti hanno cominciato a usare quell’immagine per il proprio brand. E’ una cosa molto insidiosa: prima era arte, poi se ne appropriano i media, lo stato, il populismo. L’arte è importante, ci può rendere consapevoli di questo uso e abuso dell’immagine. Ma ci sono degli artisti che usano quelle immagini per l’ autopromozione. Così perdono il loro effetto oppure usano quell’effetto ma per i propri fini. Quando abbiamo scelto immagini e opere d’arte per questa mostra avevamo molto presente quei processi, abbiamo fatto attenzione a non invitare chi usa l’elemento salvagente o giacche di salvataggio per fare delle istallazioni che sono solo oggetti estetici senza connessioni con la realtà. E’ una cosa molto pericolosa, un approccio praticato dal populismo, ma a volte anche dagli artisti: L’oggetto perde il suo riferimento con la realtà, o viene separato dal contesto di miseria diventando un oggetto astratto. Se trattiamo di argomenti politici bisogna essere molto consapevoli di questi fenomeni. Non esiste un oggetto d’arte neutro.

Il video sui movimenti fascisti in Europa non usa forme estetiche, fa parlare le cose da sole

Eravamo incerti se invitare quel documentario, l’autore stesso lo considera un prodotto d’arte. L’abbiamo scelto per segnalare che non dobbiamo dimenticare quanto accade nella realtà. Per esempio, prima parlavamo di immagini neutralizzate, se andiamo indietro nella storia e pensiamo com’è accaduto l’olocausto e le sue immagini, tutti che dicevano che non hanno saputo, che non era chiaro cosa avveniva. Ma ora è assolutamente chiaro che cosa accade, per questo abbiamo invitato molti artisti che trattano l’argomento memoria, sperando che andando indietro nella storia e mostrandone le conseguenze la gente possa connetterele al presente.

Qual’è per lei l’ esito più importante da trarre dall’esperienza viennese?

Alzare la coscienza ne è una parte, perché molte cose confluite in questa mostra nelle menti delle persone sono in scatole separate. Abbiamo cercato di mostrare in che modo nazionalismo e xenofobia siano connessi, come lo erano nella storia, nella prospettiva dell’est e dell’ovest. Credo che lasciamo questa mostra da persone differenti, il lavoro artistico che mostriamo è così radicalmente critico, a volte utopico, le analisi e esperienze ascoltate, tutto questo può fungere da guida nelle giungla che viviamo. Oltre ad arte critica cerchiamo cose che aprano delle prospettive in questi tempi disperati, mostrando vie, visioni e nuove utopie.