Non bastava il muro. Per fermare i profughi adesso l’Ungheria di Viktor Orbàn costruisce una porta blocca-ferrovia che impedirà alle migliaia di uomini, donne e bambini in arrivo dalla Serbia di seguire i binari per orientarsi nel loro cammino verso il nord Europa. La notizia è stata resa nota ieri dalle ferrovie ungheresi, che hanno annunciato di aver già cominciato i lavori. La porta verrà innalzata lungo la linea tra Subotica, in Serbia, e Szeged, in Ungheria e servirà a bloccare quanti tentano di aggirare il muro seguendo i binari.

Sembra proprio che non ci siano limiti ai tentativi messi in atto dal premier ungherese per fermare i profughi, al punto che il cancelliere austriaco Werner Faymann non ha esitato a paragonare i metodi di Orban a quelli dei nazisti. Per nulla preoccupato, in un’intervista al quotidiano tedesco Bild ieri il premier ungherese ha spiegato come vede il problema. Per lui i profughi «non vengono da zone di guerra ma da campi in paesi vicini alla Siria come Libano, Giordania e Turchia. Lì erano al sicuro – ha spiegato – , ma vogliono venire in Europa perché vogliono vivere come i tedeschi o come gli svedesi». Orbàn dice di avere la soluzione al problema e di volerla presentare al prossimo vertice dei capi di Stato e di governo: tenere i profughi nei campi situati nei Paesi confinanti con la Siria dove la stragrande maggioranza di quanti arrivano in questi giorni ha vissuto per anni. Per questo serve «un sostegno finanziario massiccio per i Paesi vicino alla Siria», almeno tre miliardi di euro ma «se serviranno più soldi noi li metteremo», ha assicurato.

Da quando è cominciata la guerra in Siria, sono milioni i siriani che hanno abbandonato il Paese. La maggior parte di loro per anni ha vissuto in un campo profughi allestito in uno dei Paesi vicini nella speranza di poter presto rientrare nelle loro case. Secondo i dati dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) a luglio 1.805.255 siriani si trovavano in Turchia, 1.172.753 in Libano, 629.128 in Giordania, 251.690 in Iraq e 132.375 in Egitto. Tutti alloggiati i situazioni di emergenza che nonostante la generosità dei governi ospitanti con il tempo e con la diminuzione dei fondi sono diventate sempre più precarie. Ora Orbàn pensa di convincere i Paesi confinanti con la Siria a impedire le partenze dei migranti promettendo loro nuovi finanziamenti. Convinto, evidentemente, che vivere in un campo profughi in fondo non sia male. «Lì sono al sicuro – ha detto alla Bild – e quindi questa gente non fugge dal pericolo, da quello sono già scappati e non dovranno più temere nulla per la loro vita».

Mentre Orbàn si faceva intervistare dalla Bild, al confine con la Serbia la sua polizia passava al setaccio i villaggi rastrellando i migranti che si sono rifiutati di farsi identificarli e portandoli in un centro di raccolta. Nei prossimi giorni sarà finito il muro al confine con la Serbia e sono già pronte unità speciali di polizia per sorvegliare il confine. Da martedì prossimo, 15 settembre, l’Ungheria sarà blindata e la vita dei migranti verrà resa ancora più difficile dall’entrata in vigore delle nuove norme che prevedono l’arresto e il carcere fino a tre anni per chi entra illegalmente nel Paese. «Non esiste un diritto fondamentale a una vita migliore, ma solamente un diritto alla sicurezza e alla dignità umana», ha ribadito Orbàn.

Domani a Bruxelles si terrà il consiglio dei ministri degli Interni che dovrebbe dare i via libera alle quote dei primi 32.500 profughi da distribuire tra gli Stati membri. Viste le diverse posizioni ancora esistenti, è difficile che si possa arrivare a qualche decisione concreta. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha già detto di essere pronto a convocare in caso di fallimento, un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo per ottobre. A fare muro, in tutti i sensi, sono i Paesi del gruppo di Visegrad, Polonia, Ungheria, repubblica Ceca e Slovacchia (anche se la Polonia avrebbe una posizione più dialogante) contrari al meccanismo delle quote. A questi vanno aggiunti Gran Bretagna e Danimarca che possono tirarsi fuori dalla divisione grazie a una clausola dei trattati che glielo consente. Stessa cosa potrebbe fare Irlanda, che però ha accettato di accogliere una quota di profughi. Nel tentativo di convincere gli Stati più dubbiosi il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici non ha escluso la possibilità di valutare l’impatto che la crisi sta avendo sui bilanci nazionali aprendo alla possibilità di escludere queste spese dagli obiettivi di bilancio secondo il patto di stabilità.