Un’altra barriera è finita ma l’Ungheria di Viktor Orbàn non ha trovato la sua pace. Ieri mattina presto i militari di Budapest hanno piazzato l’ultimo rotolo di filo spinato per completare la barriera lunga 41 chilometri che tenterà di tener lontani i migranti in arrivo dalla Croazia. Anzi, i soldati hanno terminato con guanti e cesoie la sera prima e ieri mattina c’è stato l’annuncio trionfante: «La barriera difensiva è stata portata a termine ieri sera», ha detto un portavoce del ministero della Difesa. Ma il lavoro di sigillare i confini magiari non finisce mai. Altri 330 chilometri della frontiera con la Croazia, lungo l’ansa del fiume Drava, pur difficilmente valicabili, non sono protetti.

Anche per controllare, armi alla mano, questi possibili varchi, Orbàn ha richiamato i riservisti, ufficiali e sottufficiali in pensione chiamati a «gestire la situazione dell’immigrazione di massa». Il ministro della Difesa ungherese, Istvan Simicsko, ha spiegato che la decisione di richiamare alcuni riservisti su base volontaria è stata presa dietro richiesta del capo di Stato maggiore della Difesa. I riservisti saranno impiegati anzitutto nella vigilanza per le caserme, ha detto, a rimpiazzo dei militari impegnati nell’emergenza migranti, ma potrebbero adempiere anche ad altri incarichi, non meglio precisati.

Nel frattempo tutto questo fermento militare frontaliero ha messo in allarme la Croazia, la quale per altro non ha intenzione di fare da capolinea al viaggio dei profughi verso l’Austria e la Germania, quindi il Nord Europa. Il premier croato Zoran Milanovic ieri pomeriggio ha tuonato contro l’atteggiamento di Orbàn e degli ungheresi. «Li abbiamo costretti ad accogliere i profughi, continueremo a farlo», ha detto Milanovic, facendo la voce grossa di fronte alla sua opinione pubblica. A suo avviso il problema è in Grecia e in Turchia, visto che è da lì, attraverso le isole greche, che transita quasi l’80% di tutti i migranti in arrivo sulla rotta balcanica. «Bisogna intervenire là, e la Ue si deve muovere», ha continuato Milanovic, dopo essersi recato a Beli Manastir, la località al confine con l’Ungheria teatro di forti tensioni con la massa di migranti bloccati dalla recinzione.

Il rimpallo di accuse e parole forti tra Zagabria e Budapest è continuato per tutta la giornata e l’alterco si è esacerbato nei toni, specialmente da parte ungherese. Il governo ungherese ha accusato la Croazia – nientemeno – di aver «tradito» l’Ungheria e la Ue per non aver protetto adeguatamente i confini esterni dell’Unione.

«La Croazia ha tradito non solo l’Ungheria ma l’Unione europea non avendo ottemperato alle misure alle quali si era impegnata», ha detto testuale il portavoce del governo di Budapest, Zoltan Kovac. Secondo il governo di Budapest, solo ieri la Croazia ha fatto affluire in Ungheria circa 8 mila tra migranti e profughi. Il portavoce dell’esecutivo ha aggiunto che lasciandoli partire il governo croato «ha rinunciato a tutti gli impegni legali che lo vincolano». Cosa intendesse dire con questi fantomatici «impegni legali» che non sarebbero stati rispettati, lo si è capito più tardi, quando il governo ungherese ha minacciato di opporsi all’adesione della Croazia all’area Schengen, se non proteggerà i confini esterni dell’Unione europea. «Se la Croazia alza le mani e dice “No, non voglio difendere i confini” allora l’Ungheria potrà solo dire che essa non è pronta a unirsi a Schengen, quando sarà il momento di decidere», ha spiegato Antal Rogan, capo del gabinetto politico del primo ministro Viktor Orban parlando all’emittente InfoRadio.

Secondo quanto riferito da fonti del governo ungherese, il flusso di persone è destinato a non rallentare in questi giorni. Secondo il ministro dell’Interno croato, sono poco più di 20.700 i migranti entrati da mercoledì scorso fino a stamani in Croazia, passando illegalmente dalla Serbia. E qui si apre un secondo fronte per il governo isolazionista e di estrema destra di Orbàn.

La Serbia ha iniziato a protestare per l’atteggiamento di rifiuto e di chiusura delle frontiere del vicino ungherese. Il premier serbo Aleksandar Vucic ha chiesto al collega Viktor Orban di riaprire al più presto il valico di Horgos, un passaggio strategico visto che si trova lungo l’arteria autostradale che va da Belgrado fino a Budapest, un valico che ora è preso d’assalto dalle migliaia di profughi che dalla Serbia cercano una via secondaria per raggiungere l’Ungheria. «Per la chiusura (del valico di Horgos ndr) abbiamo già subito un ingente danno economico», ha detto Vucic ai giornalisti. A Horgos nei giorni scorsi, davanti alla barriera anti-immigrati che corre lungo il confine, si erano registrati duri scontri fra profughi e polizia ungherese con un bilancio di oltre 300 feriti.

Il primo ministro serbo Aleksandar Vucic si è anche detto «molto felice» di aver potuto constatare che il popolo serbo non è xenofobo e sta dimostrando un atteggiamento di solidarietà con i profughi. Una dichiarazione che tende a mettere in contrasto i serbi con gli ungheresi, anche se – a dire il vero – anche i cittadini magiari hanno cercato di soccorrere i migranti portando loro viveri e vestiario, nelle scorse settimane.

Nella rotta a est i profughi sembrano aver scorticato tutti gli attriti sottopelle dei paesi balcanici. Anche in Slovenia, paese che pure sembrava disposto ad accogliere un certo numero di migrantie a facilitare il loro passaggio verso la Germania, ci sono state cariche della polizia verso gli stranieri appena arrivati che chiedevano una via più agevole per arrivare in Germania. La polizia ha utilizzato spray urticanti e ieri ne ha rivendicato l’utilizzo, data la situazione di emergenza e tensione alla frontiera. Invertendo la rotta, Lubiana ha deciso infatti di reintrodurre temporaneamente i controlli ai confini. Non solo, il ministro degli Esteri sloveno, Karl Erjavec, del gabinetto del primo ministro sloveno Miro Cerar, ha chiesto chiarimenti all’ambasciatore croato a Lubiana sull’atteggiamento “buonista” del suo paese alle frontiere esterne dell’Unione.

Non è da meno l’Austria, che da tre giorni ha riattivato i controlli a tutte le sue frontiere, compresa quella slovena. La Mitteleuropa sta tornando a mostrare il suo volto più ringhioso e scomposto.