«I cambiamenti politici che abbiamo visto in Europa mostrano che il vento sta cambiando. Il gap tra le élites europee, specialmente a Bruxelles, e la volontà effettiva della gente, è diventato così ampio, che ci deve essere un ponte, in un modo o in un altro, ed è su questo che stiamo lavorando», Zoltán Kovács, portavoce del governo ungherese del premier Viktor Orbán (Fidesz) ieri ha parlato a Bruxelles alla vigilia del dibattito e del voto al Parlamento europeo per l’attivazione dell’Articolo 7 nei confronti dell’Ungheria per violazione dello Stato di diritto. E da lì ha ribadito che il suo partito «non ha alcuna intenzione di lasciare il Ppe». «Se il Ppe e le altre principali forze politiche moderate non faranno i passi necessari per affrontare la realtà sul terreno, parlando il linguaggio che è richiesto per affrontare queste questioni, altri lo faranno al loro posto», «Vogliamo dimostrare che la nostra prospettiva può aiutare il Ppe».

Oggi a Strasburgo è previsto l’intervento del premier Orbán: parlerà per sette minuti cercando di illustrare i punti saliente del contro-rapporto, di circa 150 pagine, preparato dal suo governo in risposta alla relazione Sargentini (stilata da Judith Sargentini, membro della Commissione sulle Libertà Civili, la Giustizia e gli Affari Interni del Parlamento Europeo) e già inviato ai membri del Parlamento europeo e ai governi dell’Ue. «L’Ungheria sarà accusata sulla base di falsità che puntano il dito contro lo stato di diritto del Paese. Quindi, è una presa di giro dello stato di diritto, per contenuti e procedure, al Parlamento europeo», ha aggiunto Kovacs.

Il Ppe sembra lascerà libertà di voto ai parlamentari del gruppo, l’M5S (ancora con l’Ukip e i Democratici svedesi nel gruppo Efdd), che a giugno in Commissioni aveva votato a favore delle sanzioni, ora è titubante. Oggi si riunirà per prendere la decisione in corner.