I I Quinto album per Oranssi Pazuzu, l’antico demone mesopotamico del vento, arancione come l’energia cosmica secondo una mitologia retrofuturistica, unica nel far risuonare incubi metallici in stanze siderali. Vengono definiti black metal, come il genere che vide la luce in Inghilterra con i Venom nel 1982, per poi diffondersi in tutta Europa con la seconda ondata nei ’90, a partire dalla Scandinavia, con nomi come Burzum e Mayhem: mood cupissimo, voci ad invocare o mimare demoni, il caos come un rituale elettrico. Il quintetto finlandese aggiorna e dilata il verbo, mantenendo della radice solo l’oscurità, per declinarla con grande fantasia e padronanza dei mezzi e dei generi più diversi. Nubi di psichedelia fosca, ritmi dispari e ombre, il magistero dei King Crimson, le fughe dei Gong a marcire dentro una caverna platonica, il minimalismo, la ruggine del noise, composizioni come incubi multiformi grondanti nitida follia, panorami psichici su cui si staglia beffarda la voce, in lingua madre, ad aggiungere un che di benvenuta stranezza: sette colpi alla giugulare a chi crede che suonare pesante non possa voler dire sapere volare alto, creando un ibrido che ha davvero dell’inaudito.