Da sinistra ogni tanto ancora emerge il retropensiero sulla crisi come una sorta di espediente delle classi dirigenti per approfondire le proprie politiche economiche, un pretesto per approfondire le diseguaglianze e le logiche di dominio.

Per carità c’è anche questo, ma non vedere che la crisi oltre che avvantaggiare i principali soggetti dell’economia di mercato fa sprofondare tutti, non consente di focalizzare il contesto dato. La crisi c’è eccome, non è risolta e, soprattutto, nessuno intravede delle soluzioni credibili e durature. Il dibattito europeo sul Quantitative easing risulta piuttosto significativo a tal proposito. La Bce, come le altre banche centrali, in questi anni ha assunto un ruolo guida, seppur del tutto parziale, per provare a costruire delle soluzioni. I risultati degli allentamenti quantitativi realizzatisi sono stati piuttosto magri se paragonati a quelli preventivati.

In Europa il Qe è considerato ancora nella sua fase iniziale. Buoni risultati nella riduzione dei costi sul rifinanziamento dei debiti sovrani, ma deflazione incombente, poca occupazione e crescita debole. Tant’è che è stato ampliato a 80 miliardi di euro ed esteso all’acquisto di bond aziendali. La logica della moneta facile è quella di concedere fiato all’economia e di consentire così ai rispettivi governi di accelerare sulle presunte riforme strutturali e quindi far ripartire il consueto andamento economico. Oggi però Mario Draghi solleva un problema all’eurozona sottolineando come le scelte della sua Bce da sole non possano bastare, come non sia pensabile prenderla solo dal lato della moneta. E premendo sui governi nazionali per approfondire ulteriormente le controriforme sociali che dovrebbero favorire un recupero di competitività sul piano internazionale per il vecchio continente. Sul fronte politico però si fatica a schiacciare ulteriormente l’acceleratore su questo genere di provvedimenti. I paesi europei, soprattutto quelli periferici, incominciano a essere allo stremo.

Le politiche sul lavoro proposte dal governo francese, sulla falsariga di quello italiano, trovano delle resistenze difficili da superare, e rischiano di lasciare ulteriore terreno libero alla destra no-euro. D’altronde la moneta espansiva per ora ha prodotto prevalentemente grandi benefici sul lato finanziario. Il mondo della finanza ha dimostrato a più riprese di temere una stretta monetaria, ritenuta eccessivamente prematura. Al contempo la Bce lancia segnali anche sul versante dell’economia reale consentendo l’acquisto di azioni d’impresa, ma non considera che il problema risiede in una scarsa domanda di credito piuttosto che di offerta. Ed è perciò che in Europa avanza una proposta secondo cui la prossima mossa dovrebbe essere ispirata all’elicopter money, letteralmente lancio di moneta dagli elicotteri.

Il Financial times e l’Economist spingono in questa direzione, recentemente persino il presidente della Banca d’Italia, Ignazio Visco, non la esclude e neppure il chief economist della Bce Peter Praet. Il rischio, ovviamente, è che tale proposta venga assorbita dentro le logiche dominanti, mentre sarebbe il caso di costruire una campagna per un Quantitative easing for the people, finalizzata a una reale redistribuzione dei redditi e a un grande piano infrastrutturale per piccole opere socialmente utili.

Insomma si tratterebbe di incunearsi, una volta tanto, nei dibattiti e nelle difficoltà mainstream, per portare a casa qualcosa di concreto. Una campagna che in altre parti d’Europa è iniziata e che con Christian Marazzi stiamo provando a proporre. Perché non dovrebbe essere socialmente comprensibile passare dallo stampar moneta per finanza e imprese a farlo a tutto vantaggio delle classi solitamente escluse da questi espedienti? Autocensurarsi non è mai una buona scelta, esser privi di intraprendenza neppure.